“Idioti anonimi è la definizione che io e un gruppetto di amici diamo di noi stessi. Tutto è cominciato con Oliver il Suonatore di Fagotto e Merle il Poeta. Oliver prima si faceva di crack, Merle e io di eroina. Una sera a cena abbiamo cominciato a raccontarci le nostre storie. Sì, insomma, tipo Alcolisti Anonimi, Donne Maltrattate, o roba del genere. Solo che tra noi è tutto assolutamente informale ed estremamente cinico. Abbiamo cominciato più o meno un anno fa. Ogni tanto si aggiungeva qualcun altro. Il requisito fondamentale era che fossero stati tossici o sessuomani o almeno ladri, insomma qualcosa. E dovevano raccontare le loro storie, comiche o mostruose che fossero”.
È il 2000 quando Maggie Estep pubblica il suo lavoro “Diario di un’idiota emotiva”; la protagonista, Zoe, vive in un quartiere di New York ghettizzato, popolato da prostitute, tossicodipendenti e alienati. Complice l’atmosfera surreale che la circonda, Zoe racconta, nelle pagine del libro, in prima persona le sue disavventure, in maniera scanzonata e divertente sebbene lei stessa viva la continua dualità tra l’esigenza di trovare un equilibrio e un istinto autodistruttivo.
Vive sceneggiando telefonate hard e lavorando come receptionist in un locale sadomaso; partecipa agli incontri degli idioti anonimi, un gruppo di persone che pur totalmente diverse tra loro ha in comune la tendenza ad autodistruggersi ed è ossessionata dall’idea di vendicarsi dell’ex ragazzo da lei ribattezzato “Satana”.
“Ciao sono Zoe e questo è il mio libro. È un documento di Idiozia Emotiva in due parti. C’è il “prima”, che spiega come sono arrivata sin qui, e c’è il “dopo”, che documenta che cosa ci sto a fare. Piccolo dettaglio: naturalmente non sono affatto sicura di cosa ci sto a fare.”
Il libro comincia proprio con Zoe che, decisa a farsi vendetta,va a casa dell’ex ragazzo e si chiude nella sua cabina armadio, in attesa che lui ritorni: rinchiusa in quell’armadio, Zoe racconta di sé, affronta temi importanti, ricorda cosa ha vissuto con lui e tutta le persone deviate che conosce.
Lei è così, emotivamente instabile, affettivamente disturbata, conscia che la sua vita non è giusta ma neanche poi così sbagliata; che tutti hanno dei problemi e che i suoi amici ninfomani, tossici, ladri, non ne hanno poi di così gravi.
Il modo in cui la Estep riesce a trascrivere sul foglio la sua “beat generation” americana è sorprendente: non cade nel prolisso, non c’è autocompiacimento né tentativi di trovare giustificazioni da parte della protagonista, lei è così, tossica della vita e delle sue contingenze, capace di scendere nel raccontare i dettagli di droga e di masturbazione con una candida naturalezza. Amicizie sbagliate, amori malati, continui viaggi e abituali riunioni di idioti anonimi, fanno di Zoe un personaggio simpatico, un po’ punk, un po’ nerd,un po’ cantante rock, un po’ dark, un po’ di tutto in un cocktail di allucinante realtà.
È un peccato che questo romanzo non abbia avuto il successo che meritava; è un peccato che non sia stata riconosciuta alla Estep la giusta dose di bravura per aver affrontato dei temi sposandoli ad una scrittura scattante, nervosa e comunque ironica.