Lui la sogna quando aveva i capelli lunghi. Lui la rivede incatenata ad una insania da bocca dello stomaco. Lui la guarda, e nello sguardo la morte si dice possa nascondersi in liquidi Morfeici. Lui cucina misture di uova, dadi e solitudine. Lui la osserva battere a macchina. E’ uno scrittore, solo lei lo sa. Lei sa dello spirito che dichiara fuoco, e di quel fuoco ne è certa: “ Tu ce l’hai, tu sei uno scrittore”. Lui è schiavo della dispersione e del disordine, rami freschi dell’amore. Lei ha bruciato la capanna legnosa ché il sentimento non è ozioso, sarebbe, così, stato polvere in una vita meccanica, dentro un’ampolla.
Parigi. Rubinetti che perdono. Il sesso con lei, oscillante peregrinazione di una fame insaziabile: tra lino e nudità e filtri di grida acute. “ Sei uno scrittore”. Lei batte ancora a macchina, gli editori devono conoscere il manoscritto. Il più grande scrittore. Lui ama il chili, anche col caldo.
Le camere sanno di cicuta e chili.
La forchetta infilzata, e l’ira di lei. Il più grande scrittore. I pianoforti, la pioggia, la noncuranza perché il tranello del tempo non ha da inchinarsi ai sentimenti.
Lui scrive.
Il buio è anche lei. Deve starci anche lei nella solitudine; dio si metta da parte come, altresì, la luce. Il tutto si metta da parte! Lei è nella filosofia del suicidio, dello svegliarsi, del sorriso, dell’abbattimento.
Vero, Betty?
“Ho visto la luce accesa. Stavi scrivendo?”
“No, pensavo”.
Un amen diverso: G.Z