Posto atipico, isolato, ma non per questo privo di fascino, nell’Illuminismo francese ha Rousseau. Riconoscendone i limiti, l’Illuminismo non aveva fatto della Ragione la sola realtà umana; tuttavia aveva posto nella Ragione la sola natura dell’uomo, cioè la norma che istituisce l’ordine nella vita umana e nella molteplicità degli elementi che la costituiscono. Rousseau infrange la regola: la vita umana non è ragione, ma istinto, sentimento, impulso, spontaneità. Direi anche ispirazione.
Il motivo dominante nell’opera di Rousseau è il conflitto che si genera tra ordine innato e ordine istituito, in altri termini tra l’uomo naturale e l’uomo artificiale. Quelli che l’umanità crede siano dei beni, i prodotti del Sapere, dell’Arte e della Scienza non hanno contribuito affatto alla felicità dell’uomo, ma lo hanno invece depauperato della sua condizione primigenia, lo hanno allontanato, in un lento processo di emarginazione, dalla sua natura. Le Scienze e le Arti hanno intensificato e rafforzato i nostri difetti:
<< l’astronomia è nata dalla superstizione; l’eloquenza dall’ambizione, dall’odio, dall’adulazione, dalla menzogna; la geometria dall’avarizia; la fisica da una vana curiosità; tutte, e la morale stessa, dall’orgoglio umano >>. Esse hanno inoltre contribuito all’ineguaglianza tra i popoli, quest’ultimo ritenuto dal pensatore francese il male peggiore, anzi la fucina di ogni male.
La cultura occidentale già era stata svezzata da un pensiero del genere, basti pensare semplicemente ai filosofi arcaici interlocutori di Socrate, in particolar modo Ippia di Elide e Antifonte, che consideravano le leggi pure convenzioni, contrarie alla natura. L’opera più controversa di Rousseau, Il contratto sociale, cercava il riconoscimento di quelle condizioni per le quali ogni comunità deve ridursi alla natura, cioè a una forma fondamentale – non contaminata e non soggetta ad ogni altra istituzione – di giustizia. Il fulcro è quello di delineare una comunità etico-politica ideale, nella quale ciascun individuo possa obbedire non a una volontà estranea, ma a una volontà generale che egli sente come propria, riconoscendola imprescindibile da sé stesso.
Questa volontà non è la somma di volontà particolari, ma tende sempre verso un utile generale. Detto brevemente, le leggi sono gli atti, o le emanazioni di questa volontà, e sono ordini non di un solo uomo o di un gruppo di uomini, ma disposizioni necessarie affinché si realizzi il bene pubblico. Il governo, tramite tra il corpo politico e i sudditi, è depositario del potere esecutivo, cioè l’esecuzione delle leggi e il mantenimento della libertà civile e politica. Esso non ha nessuna autorità legittima verso il popolo, che è invece il vero sovrano: << Essi non sono i padroni del popolo, ma i suoi ufficiali e il popolo può stabilirli e destituirli quando gli piace. >>
Nell’ottica di Rousseau, questo patto garantisce la libertà dei cittadini attraverso una logica che definirei speculare: ciò che Io voglio lo voglio per Noi, cioè risponde al volere di tutti. Tutto ciò che si trova fuori dalla volontà generale è mosso da interessi individuali, e quindi ingiusti.
Tutta questa enfasi puramente teorica ha generato nel corso dei secoli molti esegeti del suo pensiero, alcuni dei quali non hanno escluso che in Rousseau vi sia un’ambiguità di fondo. Per molti aspetti egli sembra il teorico della democrazia o un filosofo della libertà, ma sotto altri, come la celebrazione di questa volontà generalizzante – che sembra portare con sé, invece, i miasmi di una volontà omologata – e della contrapposizione Noi/Io, sembra apparire come il precursore di una democrazia totalitaria, che troverà la sua drammatica semplificazione nella Rivoluzione Francese, squarciata da una teorica proclamazione della democrazia concretizzata nella pratica al terrore. Già secondo l’aristocratico Platone, il piano inclinato della democrazia è l’anarchia, di conseguenza l’autoritarismo del popolo. In quest’ottica Rousseau sembra porsi come profeta ideologico dei totalitarismi di massa del ‘900.
Al di là di queste diatribe, Rousseau ha ispirato liberali come Benjamin Constant e tutto il filone rivoluzionario della filosofia moderna: da Robespierre a Marx, da Lenin ai marxisti italiani, consacrandosi come portatore di istanze egualitarie alternative all’ordine istituitosi nelle società esistenti.