Per noi moderni Società e Politica sembrano parlare la stessa lingua, un viluppo inestricabile. Stesso potremmo dirlo anche per i greci del V secolo a.C. Ne Le nuvole, la più famosa e celebrata commedia di Aristofane, quasi non vi è alcuna traccia di un discorso politico. Quasi per un semplice motivo: l’elemento satirico, presente in tutta l’opera, per la sua intrinseca natura nasconderebbe il vero bersaglio. L’occhio di Aristofane guarda ad Atene ma si rivolge a Sparta, il cui mondo sembra refrattario ad ogni mutamento culturale e apertura all’esterno. Le nuvole sembrano ombre, scheletri di corpi che giacciono al suolo, proiezioni criptiche di una dimensione ultraterrena nella quale possono accedere solo una piccola parte di umanità. Esse sono delle Idee, non nel senso nobile che Platone attribuiva agli enti universali ed eterni, come versanti pensabili del mondo.
Lassù, tra le nuvole, regnano i cattivi maestri, tutte le più nefaste escogitazioni che corrompono la nostra vita quotidiana. Un mondo fatto da politici ed intellettuali quindi, ma anche da servi e da sciocchi, oltre che da noi stessi. In un’ottica diversa, il nostro mondo, quello contemporaneo, pretende di essere guardato con ogni paia di lenti a nostra disposizione, ed umilmente da ogni prospettiva. Esso è ben visibile non solo guardando verso l’alto, dove regnano i potenti e le classi dirigenti, ma anche in terra, osservando minuziosamente entro noi stessi. Ed ecco perché la commedia inizia proprio con la sfacciata idea del vecchio Strepsiade di non pagare i propri debiti, esplodendo in un urlo tanto folle quanto selvaggio: Altissimo dunque leverò il mio grido!
Ma a chi è rivolto questo grido? Certo, Strepsiade è un potenziale ladro, uno che non vuole pagare i propri debiti e ingannare il prossimo. Ma questo prossimo sembra avere tutta l’aria dello strozzino, di un nulla facente che vive a spese del denaro d’altri e, soprattutto, del denaro che già possiede.
Un giorno egli bussa alla porta di Socrate. Vicino casa di quest’ultimo vive il Pensatoio. Strepsiade non riesce più a dormire perché è costretto in qualche modo a sanare i debiti accumulati da suo figlio Fidippide. Il padre va da Socrate perché il filosofo è in grado di insegnare a tutti come vincere con le chiacchiere una causa giudiziaria. Strepsiade viene accolto dagli allievi, mentre Socrate resta in un cesto sospeso in aria. Fanno la loro comparsa le Nuvole, creature quasi prive di corpo ma dai nasi lunghi ed abnormi, che si protendono con impalpabilità verso ogni disquisizione. Dopo un attento esame, il figlio di Strepsiade viene accolto dal Pensatoio dopo che il padre è stato rifiutato a causa della sua poca istruzione. Ed è qui che inizia la parte cruciale della commedia, cioè la disputa tra il Discorso Migliore e il Discorso Peggiore, ovvero quello filosofico contro quello retorico.
Il bersaglio culturale quindi è quello della sofistica, di cui Socrate sarebbe, secondo Aristofane, il massimo rappresentante. I sofisti, in termini platonici, sono quelli che si spacciano per dei veri educatori, coloro che non mirano all’utile per la società, ma semplicemente, con l’arte di persuadere attraverso le parole, alla proiezione falsa e ingannatrice del Bene, il Piacere. La sofistica – la dimensione dei demagoghi, dei ciarlatani, dei mistici, degli adulatori – è l’arte retorica senza alcun contatto con la realtà. Strepsiade è il buffone, una sorta di eroe sbagliato. Attraverso l’estremo gesto di Strepsiade che chiuderà la commedia, Aristofane si pronuncia, con un’esplicita denuncia satirica, contro questi nuovi fabbricanti di verità. Ma dietro si nasconde anche la presa in giro dell’uomo medio, che ciecamente si offre come vittima sacrificale in nome di un popolo ossequioso e muto, incapace di distinguere la verità da tutto il resto, nonostante il nobile tentativo di distruggere la propaggine dell’allora nuova cultura dominante.
Era il V secolo a.C. …