Mi informo sulle chiese di Roma del nono e del decimo secolo. Vorrei raccontare una volta ancora in prosa moderna una leggenda medievale narrata tante volte: “Gregorio sullo scoglio”, una deformazione della saga di edipo, l’elezione, per volere di Dio stesso, di un terribile peccatore incestuoso a papa romano. È un genere pio-grottesco, che mi fa molto ridere nell’idea, ma in realtà tratta della grazia
Sono parole che escono dalla penna di Thomas Mann nel febbraio 1948. Destinataria della missiva è Agnes Mayer, la sua ammiratrice americana.
Nel gennaio del ’48 lo scrittore tedesco inizia a comporre le prime righe del romanzo. La stesura termina nell’ottobre del 1950 e alcuni mesi dopo, nel marzo del ’51, esce in stampa a New York e Francoforte – Germania e America, la patria natìa e la meta dell’esilio dettata dalla ripulsa per il Terzo Reich di Hitler. Il suo titolo è L’eletto.
Millenovecentocinquantuno, ossia quattro anni prima della morte. Thomas Mann regala l’estrema sintesi del proprio pensiero in un’opera che sa di testamento, un romanzo nel quale si mescolano appunti di lezioni universitarie, riprese di temi che hanno scandito il ritmo delle pagine dei libri precedenti, leggende che hanno fatto la Storia e lo Spirito dell’Occidente, e dell’amata Germania in primis. Infine, il confronto con la Morte, la dama nera con cui l’uomo Thomas ha sempre avuto un rapporto particolare, fatto di attrazione morbosa e paura al tempo stesso.
Libera rielaborazione di una leggenda medievale sulla vita di Gregorio Magno – la fonte principale è il poema Gregorius di Hartmann Von Aue del XII secolo – L’eletto narra la vicenda di Papa Gregorio I, che nella rielaborazione dello scrittore di Lubecca assurge a nuovo Edipo, il cui mito ricopre un ruolo fondamentale nel protagonista. Frutto di un rapporto incestuoso tra fratello e sorella (Wiligis e Sibilla) e sposo della madre, il nuovo-Edipo Gregorio, una volta scoperta la terribile verità, si infligge una terribile punizione, che reca però in sè il germe della redenzione e della santità: egli si fa infatti legare con catene di ferro da un pescatore su un’isola disabitata; abbandonato per volontà propria – chiede infatti che vengano buttate le chiavi delle catene in mare – Gregorio permane sullo scoglio ben diciassette anni, fino al giorno in cui, secondo quanto annunciato da un’antica profezia, viene condotto a Roma per sedere sul trono di San Pietro. Proprio così: da abietto peccatore a Papa.
“Favola edipica” – come l’opera è stata definita – L’eletto affronta con il mirabile strumento dell’ironia uno dei temi cardini della poetica manniana: la malattia come segno di elezione, strumento di una diversità quasi soprannaturale, genetica e spirituale al tempo stesso: Dov’è macchia è anche nobiltà, diceva Thomas Mann. È un leitmotiv presente nel Doctor Faustus, ne La montagna incantata e nei grandi racconti della novellistica di uno scrittore e di un uomo che, come pochissimi in Europa, ha saputo interpretare un secolo intero, il Novecento, all’interno del quale mito e leggenda, magia e storia conferiscono all’epoca una tinta di primitivo, di spirito medievale, pur tra tanta modernità.
Un romanzo sul potere della grazia, che pare glorificare la diversità e portarla infine alla salvezza.
L’eletto, sul piano metafisico, è l’estremo tentativo di restaurare l’idea di una comunità culturale, religiosa e civile ancora retta e protetta dai segni delal tradizione cristiana. Ed è anche, sul piano storico, un barlume di luce nella notte dell’oblio e della barbarie nazista, ultimo simbolico tentativo di ricondurre alla latinità romano-cristiana quel mondo germanico afflitto dall’incapacità di pentimento: dalla penna dello scrittore tedesco esce così una confortante parabola indirizzata in primis ai tedeschi stessi, affinchè si sentano alleviati scoprendo nel passato mitico la naturalità di colpe sempre commesse, e infine sempre redente nella luce della grazia.