Se volessimo trovare una formula che definisca sinteticamente Rainer Maria Rilke, nessuna parrebbe più calzante della seguente: il poeta dell’inquietudine moderna. Il ritmo della sua vita e della sua poesia è un continuo oscillare tra le cose e Dio. Qualcuno ha azzardato un’analisi psichiatrica attraverso il suo corpus letterario, e questa tremenda condizione psichica, la “neurosi d’angoscia” in termini freudiani, prorompe nel dramma umano di Rilke con accessi acutissimi di crisi. I Quaderni di Malte Laurids Brigge possiamo vederli come il tragico documento letterario di un naufragio che si concluderà nel grembo della propria psiche.
Non è facile quindi pensare ai Quaderni come una sorta di diario di un dissociato psichico, incapace di ordinare il proprio disordine interiore. In balia delle onde, mosso dall’oceano mutevole del proprio lirismo, le esperienze reali diventano trasfigurazioni della fantasia, e la fantasia una proiezione dell’esperienza reale, in un amalgama contenente sogni e deliri, ricordi d’infanzia, massime filosofiche, immagini lugubri o romantiche, impressioni di viaggio, rievocazioni di personaggi storici, e poi angosce, impeti emotivi, abbandoni, estasi e pianti. Tutto questo senza alcuna logica, una linea di progressione o un criterio di successione.
Il lirismo rilkiano abbatte, dall’interno, tutti i compartimenti stagni della propria coscienza, e spezza, dall’esterno, ogni possibile legame con la realtà. È il tentativo estremo di gettare nuova luce sui frammenti indefinibili, e impercettibili, del subconscio umano; un’enorme grande luce fatta d’innumerevoli colori, tanti quanti i suoi turbamenti, avvolge e sovrasta quel mondo fatto di impulsi e repulsioni, di ripugnanze e di simpatie, di entusiasmi e di paure, che affollano il fondo dei nostri istinti e della nostra vita, e che determinano, a volte, il flusso inesorabile del nostro destino. Quindi un libro, per sua stessa natura, difficile da definire: né diario vero e proprio, né romanzo, né autobiografia, né libro di meditazione, ma necessariamente tutto questo ed altro ancora.
Definito in questi termini, il mondo poetico dei Quaderni potrebbe essere immaginato come un susseguirsi di sogni e di fantasia, e si rischia di cadere nell’equivoco più grande, cioè ridurne la complessità. Ed è effettivamente un’opera che costringe il lettore non solo ad essere letta ma anche interpretata. Leggerla è come guardare un cielo stellato ad occhio nudo; cercare d’interpretarla, invece, è guardare lo stesso cielo con un telescopio, e osservare, come in un incantesimo, quegli innumerevoli particolari che ad occhio nudo erano invisibili.
Ciò che Rilke ha compiuto, entro il mito di Malte Laurids Brigge, in un analogo processo, è il cammino del figliol prodigo della famosa parabola biblica, cioè prima il distacco dal mondo, poi un ritorno al passato e alla fine un avvicinamento all’amore perfetto, cioè Dio. Ciò che i Quaderni, inconsapevolmente, annunciano è quello che per quasi due millenni ha fatto la tradizione filosofica occidentale, dall’antica Grecia agli illuministi di fine ‘700: il distacco dal materialismo effimero della vita e il ritrovamento dell’anima nell’eternità di Dio, l’immortalità dell’anima e la finitezza del corpo, una dimensione soprasensibile e una sensibile, una concezione metafisica dell’esistenza e una verità intangibile. Il cammino di Malte, protagonista ed alter ego, conduce a una realtà esteriore e lontana dall’intimità e dalla consapevolezza del proprio sé, in cui non si è più compresi da nessuno, ma attraverso cui si comprende ciò che gli uomini disprezzano e temono più di ogni altra cosa: la solitudine.
Così il dramma umano di Rilke rappresenta insieme il naufragio dell’inquietudine e il salvataggio nella divinità, cioè nell’unità eterna di Dio. Ma questa necessità inquieta della quiete, questa ricerca della Verità e della Conoscenza, e quindi della Felicità, risultano essere, dall’inizio dei tempi, il passaporto alla Vita dell’Umanità intera, e di cui Rilke è stato il portavoce e uno dei più grandi simboli dell’Europa moderna.