“ Poi il circo venne montato. Il nano svettava dal tendone. Di sdrucite linee sino al clitoride della donna cannone, si pensava fosse l’apologia del cielo corsichese. Piuttosto inconsistente la magrezza del visitatore dei circhi, occhiaie di ruggine slacciate dal cartongesso delle pareti della scala a chiocciola. I colombai cacavano sulle sue teste, i danni di dio venivano riparati da una mano giunta al cielo ed una collimante con l’intrusione di dita incrociate dietro le spalle. Pioveva. Trovavi zingari con lingue stoppose, illuminate da nebbie in yogurt di luce di macchine divampate dal nulla autostradale. Qualcosa dietro gli occhi di tutti. Bambini rom o lama imbizzarriti emettevano l’aria del circo, le stive pure… ed anzi il cielo ne gradiva i gemiti. Le colombe ancora defecavano proprio dentro la nebbia… premure di fantasmi con ansiolitici in panza. Ai miei fianchi il bordello burroughsiano dice: “ Parla al tuo nome, sputa il tuo nome”.
O.;
Dopo il pomeriggio si radunano roulotte, uno dei primi arrivati accende carboni ai piedi di ciccioni-fiere da circo. Uno degli ultimi, li spegne. Io ci soffio, e le macchine frenano, il tempo graffia le pellicole delle musicassette, i cani mettono il laccio ai padroni. Di inverso letterale senso, leggo i sottotitoli dell’underground e i bigliettai di Piazza Libertà regalano lembi di pelle dell’uomo elefante.”
-Ed allora, fu così, Cristo, che si trasferì a Corsico, il Tizio K.
Striscioni promozionali, circensi, penzolanti, quando l’acqua piovana impregna (vulcanizzata, spermata di succedanei del fango innalzatisi, come capezzoli ghiacciati in limousine fatiscenti, dentro gli angoli dell’insegna del Ristorante Cinese), le interiora di simil-plastica dell’oggetto: i passanti di Piazza al Ponte sostano invocando la Madonna delle piogge, ed un purpureo odore di mestruazioni esonda, col fiume ( anello immateriale di congiunzione!), dalla foce del Naviglio Grande Cristiano.
La mia camera è in Via Bozzi n^ 15, la camera del Tizio K. due stazioni più avanti.
Decido di non osservare, esco.
Turbinano piccoli venti in prossimità delle strisce pedonali. L’autunno attraversa il manto stradale, il lavoro operaio del sistema Dio-O. si infrange nel mio rito da passante di consuetudini giornaliere. Le finestre sbattono sul pene dei marciapiedi… almeno in lontananza l’imago mortis sinallagmatica di due vicini viene stemperata dalla formula fallica del mutismo di due cose; le cose si fottono a vicenda, non hanno culi bucati, solo braccia come eroinomani… secondo la mia morale viaggiante!
Un giorno fa ha bussato alla mia porta il Tizio K; le due stazioni più avanti non tollerano il suo fiato pesante, il suo alito catramoso, il suo singhiozzo alla “ nano di Lynch”, il tamburellare delle sue tre dita: una nera, le altre a chiave inglese; come un compressore scioltosi nelle orecchie di un sordo, con un cotton fioc, espello il cerume per poi, quietamente, incollarlo sotto il pomello di K., è meritata la sua vergogna, ed affinchè il mio gesto sia salutare, dal buco della serratura devo, con il gesto dell’ombrello, maledire la sua ombra ( mostruosa, lunga come il gatto bulgakoviano, senza morbidezza romantico-faustiana, senza durezza da ingranaggio bloccato dallo straniero oltre la porta, senza cortesia da hotel chiuso per disinfestazione biomolecolare).
“Me ne sarà grato il Tizio K, Signole Iddio delle Vergini rinchiuse nel Castello!”, urlo, alzando il tono contro scarafaggi privi di antennine, sgattaiolanti come topi , caramellosi oltre la corteccia, succosi oltre la paura del nero-insetto-incubo; dagli sfiati sotto la mia porta, dal paesaggio funerario, il Tizio K. dorme; Corsico è nel cimitero stellare quando è dormiente. Rido.
Il Tizio K., mi ha detto il vicino, ha una bara come animale domestico. Dorme con lui, solfeggia con lui, impartisce lezioni papali alla luna perita nella sua cornice dello specchio, mangia cereali con la maschera di Halloween, architetta vestiti per il suo funerale: ha mille contratti sotto le molle, poi li strappa, li inghiotte e le ceneri (del dopo festose, ancorchè silenziose e appunto fottutamente nervose nell’incidente dell’atterraggio) sporcano il mio naso.
Farò l’accalappiacani dell’animale domestico del Tizio K, ora mi disferò del carbone scoreggiato dal soffitto: la sua spazzatura non posso riciclarla.
Faccio anche io la spesa umana, frattempo i lampioni si districano nelle loro corse d’onirismo puro; in mezzo, i pali del telefono, come sciatori tossici, cadono prima del mio arrivo e si suicidano conficcandosi aghi di pino abbattuti sul selciato, molli come la merda di un sacerdote pedofilo. Ed è lì che la lampada scoppia, ed è lì che il tempo è un lampione sotto stress wattiano, ed è lì che la porta scorrevole, d’ingresso, lascia spazio all’animale domestico del Tizio K.; anche le bare hanno una museruola, abbaiano inscatolate morti cerebralmente elettriche: il loro suono profuma di fagioli neri nascosti in cantine dello Yorkshire, il pianto di panche isolate dal sole anglosassone; è umido lo scheletro del mio corpo, è febbricitante, i termometri non sopportano il mercurio, flirtano con il sangue, niente metalli, niente metalli! I clienti sotto shock anafilattico comprano cibo in scatola: io mi siedo e ascolto. La bava clientelare e la sua rumorizzazione dettata dal gonfiore patologico delle guance dei compratori (miscelatori in erba di terrore suburbano), creano complicità da ventriloqui leucemici. I prodotti perdono consistenza.
Io e Il Tizio K, post-modernisti pubblicitari di uno spot americano a Corsico.
La porta scorrevole si ripiega automaticamente, chiusa. La bara interrompe l’elettricità del supermarket di Via Copernico, il Tizio K ha anche saggezza inumana: piscia sventolando full di re, il poker d’urina stupisce la cassiera e gli avvoltoi cospirano contro il parco giochi dalle inferriate illibate: puttane corsichesi! Siete state puttane francesi prima di americanizzarvi nel siparietto orgasmico che dimostrate con le aperture orizzontali verso tutti!
Il Tizio K. ha il coraggio di tornarsene a casa con le pudenda in bella mostra.
All’interno del medesimo, “identico”, secondo: un moccioso calcia prese elettriche e le ambulanze frenano, l’artifizio della frutta fresca appassisce, i cinesi si metamorfizzano in turchi di Via Cavour smercianti kebab; gli egiziani pizzaioli, con l’occhio di Ra all’ombelico, con un harem di Allah-femmina, con una stella araba spietatamente crocifissa nel giardino ripudiante masturbazione pre-matrimoniale, punzecchiano ocularmente i culi nudi delle femmine alla finestra.
Il Tizio K. fischietta. Sa fischiettare perchè sa della comicità nel e del dramma del tutto-esistere vomitato dal cortile di Via Bozzi n^ 15….
Corsico è un fungo atomico con dentro diavolacci ruttati dal secondo Leonardo: quello buio, quello della Gioconda Violentata, scaracchiata, dissanguata e ridotta ad uno stadio di piacevolissima confusione blakiana. L’ermellino leonardesco, frattempo, si auto-compiace infilandosi tra le zanne colonne vertebrali dei tassisti di Via Garibaldi.
“Da bambino, mi racconta Il Tizio K., violentavo agnelli.”Ora gradisce fruttivendoli- donna con in mano mele del Paradiso Corsichese.
Il prete della cittadina ne ha fatto un dipinto valsiano.
Una borea infernale soffia a Corsico, il benzinaio della Esso decide di barattare acqua per greggio potabile. La fontana della Libertà zampilla di benzina super, Il tizio K si rifornisce dentro quel cerchio. Prende un accendino e vivifica il mummificato composto chimico. Vecchie gettano da finestre dipinte, castagne in fiamme; vecchiacci della Seconda guerra mondiale le raccolgono con le dentiere tra i mignoli.
Io applaudo, Il Tizio K è fiero di me.
La tromba apocalittica, biblica, di Giovanni, decise allora di suonare. Il Tizio K mi uccise la mano con la mano, e mi diede due corvi viaggiatori conducendomi al cimitero.
Lo si deve pedinare, non seguire.
I cancelli cimiteriali saltarono, l’azzurro cereo potò “l’altro colore” sinonimico, ed il costruttore di lapidi spolverò l’atrio di viale XX Novembre: il nostro passo era la disgrazia di un’intera Campanellesca città morta.
Mi staccò ad una ad una le ciglia, mi fece una scriminatura con un pettine sottile, impiccò ad una quercia nana la tomba del padre: devo guardarla, devo studiarla, suggeriva.
Il cosmo di Corsico si miniaturizzò d’un tratto, i volatili buttarono budella crollando da mausolei aperti: e come un miracolo a contrario ( di stregoneria saggia), la rivelazione underground riassunse l’astrattismo del caos impressionista degli eventi.
Dalla stessa madre espulsi, infettati dallo stesso padre, condivisori di una città da noi inventata…-
Mi desto, finalmente, dall’ipnosi dell’agrimensore……………
<<Mi presento a lei, come promesso, caro Dottor -Agrimensore Breece DJ Pancake:
Mi chiamo Franz Kafka alloggio in Via Bozzi n^ 15, possiedo esotericamente il corpo di O., intra-sogno Il Tizio K., preferisco Corsico a Praga. William S. Burroughs è il mio vicino. Intaglio legno di casse da morto.
Il meteo è chiaro: sempre cielo rosso.
A Corsico.>>
“La sua seduta è finita, può tornare nel suo underground corsichese”, concluse, imberbe, Il Dott. B.DJ. Pancake.
F.K