Tutto è provvisorio: l’amore, l’arte, il pianeta Terra, voi, io. Tutto si compra: l’amore, l’arte, il pianeta Terra, voi, io. Scrivo questo libro per farmi licenziare. […] Mi chiamo Octave e mi vesto da APC. Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l’universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. […] Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma.
Lucido, irriverente, brutale. E quindi affascinante, carismatico, magnetico. Impossibile non innamorarsi del suo pessimismo edonista. Questo è Frédéric Beigbeder, autore di Lire 26.900, il romanzo autobiografico che ha spaccato l’opinione pubblica portandolo alla ribalta e diventando un caso editoriale da 380mila copie vendute. Presuntuoso, egocentrico, narcisista, Frédéric Beigbeder racconta, nei panni di Octave, suo alterego romanzesco, un mondo sommerso e marcio che la gente comune conosce soltanto in superficie, quella patinata e stucchevole della pubblicità. Consapevole che la pubblicazione gli costerà il licenziamento (agognato).
Una storia che è successa veramente. Nato in una famiglia dell’alta borghesia francese (sua madre è traduttrice di romanzi rosa, suo padre talent scout), Beigbeder si trova ad affrontare precocemente il divorzio dei suoi genitori. A 24 anni si laurea in scienze politiche e inizia a collaborare con alcune riviste (Elle, Paris Match) come critico letterario. Poi il lavoro come pubblicitario, e nel 2000 la scelta di dare alle stampe il romanzo che gli ha rivoluzionato la vita. Non soltanto perché l’ha fatto licenziare, ma anche e soprattutto perché l’ha trasformato in un personaggio.
Non ci sono mezze misure quando si parla di Frédéric Beigbeder. O si ama o si odia. Riesce a posare uno sguardo ironico e disincantato sulla realtà, con il suo pessimismo atavico ne scardina i perni, sapendo che l’unico modo per provare a restare indenni in questo mondo inglobante e pazzo è quello di combattere dall’interno, scendere nelle viscere del mostro e avvelenarlo, giocare al suo stesso gioco. Nella consapevolezza che vivere è difficile, stancante, sotto molti aspetti inutile. Ma che proprio per questo bisogna farlo al meglio possibile.