Il presente articolo che state per leggere è stato scritto da un ragazzone che considera, certo non senza una massiccia dose di coraggio, Pier Paolo Pasolini il più grande scrittore italiano dal dopo guerra fino ai giorni nostri. Considerazione avventata ovviamente, ma sembra in ogni caso che Pasolini sia stato uno scrittore unico, atipico, ma anche per molti aspetti volutamente fatto fuori, isolato e mai del tutto compreso. Le ragioni sono almeno due. La prima è stata la sua straordinaria capacità di cimentarsi su più generi: la poesia, la narrativa, il teatro, il giornalismo, il cinema, la critica letteraria, la filologia. La seconda ragione ha a che fare con la sua figura da intellettuale, una delle menti più acute e lungimiranti del pantheon della nostra cultura e che l’Italia odierna ricordi. L’opera di Pasolini si presenta come una metropoli ampia e labirintica, in continua progettazione e non ancora del tutto esplorata. Un enorme continente in cui un libro importantissimo come Petrolio non riesce ancora a brillare di luce propria.
Uscito nel 1992 in forma incompiuta, Petrolio è stato l’ultimo romanzo di Pasolini. L’autore ci stava lavorando tra il ’72 e il ’75, ma tutto si interruppe a causa della tragica morte. Ciò che resta del libro è invece un alone di straordinario fascino riguardante la morte stessa dell’artista: per molti (ed oggi questi aumentano a dismisura) i contenuti del romanzo sono all’origine di una decisione da parte di poteri forti – si intende la politica, la finanza e le industrie multinazionali – che si ipotizza possano essere i mandanti dietro l’assassinio di Pasolini, togliendo di mezzo un personaggio scomodo e un testimone pericoloso.
L’opera si presenta divisa in 133 “Appunti” articolati in due parti che si intrecciano tra loro, Mistero e Progetto. Il protagonista è un certo Carlo Valletti, ingegnere della medio-alta borghesia torinese, al contempo cattolico e comunista, e in carriera presso l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi). Un personaggio che richiama alla memoria, palesemente non a caso perché nelle intenzioni dell’autore, a quel Enrico Mattei, allora presidente dell’Eni, che aveva avviato le ricerche petrolifere nella Pianura Padana e che stava tentando accordi con i paesi produttori del Medio Oriente e dell’Unione Sovietica. Ma nel ’62 Mattei muore in un incidente aereo, secondo alcuni vittima invece di un attentato terroristico, le cui motivazioni dovrebbero essere ricercate nel tentativo, da parte di Mattei, di sottrarsi all’egemonia del trust petrolifero statunitense.
L’opera si presenta come una vasta architettura post-moderna, magmatica e caotica, che ha sullo sfondo complotti terroristici e affaristici, servizi segreti e poteri mafiosi, intrallazzi tra logge massoniche italiane e poteri mediorientali, e le due fasi della “strategia della tensione” – che per Pasolini sono: una perpetrata dal Msi (Movimento sociale italiano) per contrastare l’avanzata della sinistra, l’altra che vede protagonista un “Potere” che organizza tale strategia per ridimensionare il ruolo dello stesso Msi.
Nel frattempo Carlo vive una inspiegabile scissione della propria identità in due figure opposte ma complementari, una positiva e l’altra negativa, intrecciate tra loro in modo quasi schizofrenico: Carlo I (Carlo di Polis) è un intellettuale, un tecnico, uno che lavora al servizio del Potere, mentre Carlo II (Carlo di Tetis) è una figura distruttiva e che destabilizza l’ordine istituito dal Sistema, in quanto caratterizzato da una identità sessuale eccessiva e sfrenata, androgina e polimorfa. Nell’ “Appunto51” si assiste addirittura alla trasformazione di Carlo in donna, mentre nell’ “Appunto55” Carlo fa sesso orale con venti ragazzi, partecipando ad un’estrema esperienza sessuale che viene rappresentata però come un rito religioso, assumendo paradossalmente una sua sacralità.
Con la sua grottesca ambiguità sessuale, Carlo diventa il simbolo di quella “mutazione antropologica” che Pasolini più volte ha denunciato a tutta la società italiana, come una graffiante provocazione al conformismo e al perbenismo ipocrita, ai baratri culturali del nostro paese e alle ossequiose masse anonime che lo compongono. Il petrolio, in termini etimologici, diventa un’efficace metafora per descrivere al meglio la realtà orrenda in cui Pasolini si muoveva: catramosa, oleosa, vischiosa e appiccicosa. E con parole veementi e sempre dolorose, quasi il lascito estremo di un corpo ferito, il Poeta ha dato ancora voce a una storia sbagliata.