Francesca mi accarezza i capelli. Ma che hai dentro questa testa? Chiede.
Io sorrido.
Rispondo, non lo so proprio. E’ che non sono felice, mi sento strano. E’ come se potessi avere tutto, ma non ho niente.
“Believing the strangest things, loving the alien”.
E’ con le parole di David Bowie, che Ugo Sette ci introduce alle avventure tragicomiche del suo protagonista, Ugo, alieno in una città di extraterrestri nel Nord-Est Italia dominato dal pensiero Leghista.
Compresi entrambi nell’opera “Colpo d’oppio”, i due romanzi “L’Alieno” e “L’importanza di chiamarsi Ugo- a me (mi) piace la morte perché mi fa capire che sono vivo”, descrivono con ironia tagliente il vuoto culturale ed esistenziale in cui è sprofondata l’Italia contemporanea.
Q., non è un semplice richiamo Kafkiano per indicare la città in cui Ugo vive, ma è anche la rappresentazione dell’Italia stessa, con tutte le sue contraddizioni, le sue manie e le sue paure.
Ugo è l’Alieno che ci mostra l’assurdità della nostra società.
Inventore e, occasionalmente, studente Universitario, ne “L’Alieno” il protagonista si ritrova, suo malgrado, coinvolto in un grottesco processo, accusato di aver ucciso un cane, se pure per legittima difesa.
In un susseguirsi di battute e testimonianze, la colpa di Ugo prende le forme di una rappresentazione dell’assurdo, in cui tutti i nodi della sua vita vengono riportati in scena: dall’ex-ragazza, al vicino impiccione, all’amico pusher, fino all’innamorato della nonna da poco deceduta. Ugo viene descritto come un’anima insensibile, incapace di mostrare il dolore per la morte con segni concreti, come le lacrime.
E proprio la morte diviene l’unica chiave tramite cui riabilitare il senso della vita.
Ugo, insieme all’unico personaggio positivo, Marzio, sfida una società ipocrita, che tenta di esorcizzare la morte nascondendola dietro falsi riti.
Se esiste un significato dell’esistenza umana, Ugo lo ricerca nell’ossessiva analisi dei cadaveri.
La morte è una cosa strana. Vogliamo abituarci a morire ogni giorno, nemmeno fossimo allievi di Seneca. Però stare vicini a un morto è bello, perché senti la vita e puoi capire cosa ti perdi ma pure ciò che non hai.
In un richiamo all’esistenzialismo de “Lo Straniero”, di Albert Camus, Sette colora i pensieri del suo Ugo di un sarcasmo nero, dietro cui si nasconde una riflessione profonda sul modo in cui “essere” e “apparire” si riflettono nella società, in uno specchio deformante.
“L’importanza di chiamarsi Ugo”, chiaro riferimento ad Oscar Wilde, è il prequel de “L’Alieno”, in cui l’animo di Ugo è quello ancora ingenuo, innocente, non ancora macchiato dall’insensatezza della vita. Con acuta ironia, il protagonista si fa beffa dei finti maestri della comunità in cui viviamo, mescolando allo scherno, la tenerezza dello sguardo di un ragazzo, che tenta di svincolarsi dalle grinfie di un’Italia in cui il premier può affermare impunito, “Dovremmo avere tanti soldati quante sono le belle ragazze”.
Passo dopo passo i pensieri di Ugo prendono una forma sempre più precisa, e il suo sguardo cinico e profondo diviene più definito. Gli assoli di chitarra elettrica lasciano il posto all’amore per l’invenzione, nel tentativo di fare qualcosa di buono per il genere umano.
Brillante, esilarante, e a tratti malinconico, Sette descrive un mondo dell’assurdo, grottesco e insensibile, in cui Ugo l’Alieno rappresenta la sola umanità possibile in un mondo di extraterrestri.
Ma questi sono solo gli “Appunti per un mondo migliore”.
Ashes to ashes, funk to funky.