La filosofia hegeliana ha preteso di spiegare razionalmente tutta l’esistenza giustificando la presenza di uno Spirito trascendentale, una Verità assoluta che avrebbe svelato il suo segreto solo quando la Storia, e con essa il genere umano, si sarebbe conclusa. La Storia trova la sua finalità solo alla fine di tutto. Il suo fine coincide con la sua conclusione, e con esso il senso dell’esistenza umana.
Schopenhauer criticò duramente la filosofia di Hegel, accusandola di eccessiva astrattezza e distacco totale dal mondo concreto dell’individuo e della natura, contrapponendo ad essa una visione irrazionalistica e allo stesso tempo pessimistica della realtà. La sua opera maggiore, Il mondo come volontà e rappresentazione, pubblicata nel 1819, influenzerà in modo determinante la decostruzione anti-dogmatica di Nietzsche e le fondamenta della grande struttura teorica di Freud, e sarà un lascito filosofico che avrà pochi eguali nella storia della cultura del ‘900.
Partendo dalla distinzione kantiana di fenomenico e noumenico, Schopenhauer assegna al fenomeno il significato di rappresentazione, mentre al noumeno il termine di volontà. Ma a differenza di Kant, per Schopenhauer la rappresentazione non è soggetta ad alcuna legge a priori, ma la precede ponendosi come un fenomeno originario, singolare ed inequivocabile, ragion per cui non ha bisogno di reggersi su nessuna spiegazione metafisica in quanto si spiega da sé. Ogni rappresentazione è il rapporto tra il soggetto e l’oggetto, ed ogni cosa esiste attraverso la percezione dell’individuo grazie all’azione che essa occupa nel tempo e alla sua determinata collocazione nello spazio. Ma nella rappresentazione la Verità non si esprime nella sua totalità, perché ogni oggetto è parvenza di una volontà superiore intangibile. Un sostrato soprasensibile ci fa vedere non altro che la distorsione di una realtà inafferrabile: esso è il velo di Maya. La nostra rappresentazione non è altro che questa illusione, una divergenza della vera realtà, un’astuzia della Natura, un difetto congenito della nostra esistenza. Vano sarà ogni tentativo di squarciare il velo attraverso la conoscenza razionale, perché quest’ultima appartiene al modo molteplice d’intendere il mondo, ed in ultima istanza ogni conoscenza speculativa è anch’essa una mera rappresentazione, che il quadruplice principio della ragion sufficiente continuerà a mostrarci come una realtà determinata e definitiva: divenire, come causalità fisica delle cose naturali; conoscere, come nesso logico tra premessa e conclusione; essere, come concatenazione degli enti matematici e perciò universali; agire, inteso come rapporto tra azione e movimento.
Ma non siamo solamente individui pensanti, siamo prima di tutto un corpo, un’entità organica, pulsionale e neuro-vegetativa non confondibile con gli altri oggetti perché esso è anche qualcosa immediatamente conosciuto da ciascuno e che viene designato con il nome di “volontà”. Il corpo quindi è la più alta forma di conoscenza della volontà noumenica perché percepita immediatamente, come una cieca pulsione e attaccamento alla vita. La volontà si manifesta in tutti gli esseri come una forza cosmica, possente e irrazionale che alimenta inspiegabilmente ogni forma vivente, ma anche il conflitto e la sofferenza tra esse. La volontà è si un principio originario che accomuna tutti gli individui, ma in quanto tale, li pone uno contro l’altro in un insanabile scontro; la volontà nasce prima di ogni altra cosa, l’unico suo fine è in sé perché dà moto e ragione d’esistere, ma è anche fonte di scissione e di discordia, è insaziabile, divoratrice degli altri e di sé stessa, antropofaga del mondo attorno ad essa, disposta a tutto pur di sopravvivere. Ciò che in essa aveva visto Schopenhauer è quell’istinto atavico e primordiale attraverso cui l’uomo e le cose si prodigano ogni giorno per la conservazione della specie e garantire un posto nel mondo per la progenie che verrà. In questa lotta l’uomo è mero strumento, ma è anche l’unico a comprendere l’assurdità di tutto questo, ed è costretto a vivere in perenne oscillazione tra il dolore, dovuto dalla sua tensione verso l’impossibile liberazione da questa condizione, e la noia, risultato di qualche effimero appagamento.
Le vie della liberazione sono l’Arte, in cui la coscienza si libera da ogni interesse materiale e diventa assoluta nel suo atto contemplativo; la Moralità, cioè quella compassione universale che annulla gli interessi individuali per una consapevolezza del comune patire; ed infine l’Ascesi, cioè la rinuncia alla propria individualità evitando l’annullamento totale. Etica ed Estetica coincidono in questo tragico tentativo di liberarci dall’immane dolore che sembra scritto, come un’effige, nella vita di ognuno.