Chi soffre di rinite allergica, si sa, impazzisce al solo pensiero che il suo naso possa essere turbato da un agente esterno. Tanto per dire, se qualcuno mi pizzica le narici starnutisco per due ore. La vista del polline nell’aria mi fa venire la congiuntivite allergica e roba del genere. Ecco perché quando ho letto la notizia il mio naso ha implorato pietà. Uno spray che dà l’ebbrezza, o meglio, il senso dell’ubriacatura. Ecco l’ultimo nemico delle fantasie del mio organo olfattivo. Ha il nome di un rossetto (Wahh Quantum Sensations), costa quasi uguale (20 euro), persino nell’aspetto ci assomiglia e pure nella provenienza geografica: la cosmetica Francia. È un tubetto spray: lo annusi e sniffi in un secondo 0,075 millilitri di alcol, la quantità minima (le bevande alcoliche contengono tra i 20 e 60 millilitri di alcol) perché il cervello e il palato si sentano come se avessero bevuto un superalcolico. I suoi inventori lo definiscono “un modo di farsi del bene senza farsi del male” perché con il Quantum ubriacarsi costa poco, non ha gli effetti negativi della sbronza ed è a prova di etilometro. Però il divertimento non c’è, la fatica neppure, insomma, non c’è l’ebbrezza, secondo me.
Abbiamo avuto tutti vent’anni e ci siamo ubriacati almeno una volta nella vita. Io due. La prima volta mi ubriacai a limoncello, con la mia amica Lucilla, a casa dei suoi. Lei stesa sul letto e io seduta a terra, la bottiglia che si svuotava piano e noi che ridevamo come matte scrivendo un improbabile racconto perso chissà dove. La seconda volta galeotto fu un miscuglio di Grand Marnier, Drambuie e Gin, qualcosa da resuscitare i morti. In discoteca, poco fuori Napoli. Mi bastarono due drink, decisamente potenti. Ricordo i miei compagni di avventura, il viaggio di ritorno in macchina (chi guidava era lucido), il giramento di testa improvviso e il conato di vomito (prima, però, mi ero divertita assai, avevo ballato senza inibizione alcuna). Ricordo quando in macchina dissi a chi era al volante che forse era il caso accostare un attimo, ma quello non fece in tempo e io vomitai fuori al finestrino in corsa (sì, lo so, è disgustoso).
Il mio amico Paolo mi prestò il suo fazzoletto di seta con le iniziali per pulirmi la bocca e io, in preda ai fumi dell’alcool, lo gettai dal finestrino come un Kleenex qualunque. Ricordo le risate degli altri nell’abitacolo, le mie, il suo urlo folle “ma che fai?”. E il ritorno a casa, quando tutta ovattata non riuscivo neppure a mettere la chiave nella toppa, il tentativo di non svegliare mia madre mettendomi a dormire vestita. E il giorno dopo, quando lei mi chiese perché avessi i vestiti sporchi, le dissi che era colpa di Paolo, che si era ubriacato e mi aveva sporcata di riflesso. Non ci credette neppure per un secondo ma lui lo odiò per sempre. E allora mi chiedo perché un giovane dovrebbe metterci poca fatica anche in questo. Mi chiedo quando inventeranno la pillola per fare amicizia, o quella per baciarsi, magari, quella della trasmissione del pensiero, quella per fare l’amore a distanza, per non impegnarsi neanche in quello. Sì, lo so che è un’esagerazione e anche che non è educativo, che bisognerebbe insegnare ai ragazzi che non fa bene ubriacarsi, che è meglio la lucidità.
Ma, santiddio, essere giovani è bello anche per questo, perché si fanno follie e poi si giura di non farlo più. Io, per esempio, non ho mai più toccato limoncello, Grand Marnier, Drambuie e Gin. Sono sana, viva. Perché poi, oltre a tutto questo, ingannare l’etilometro è da pazzi: uccide.