Uno, mille, un milione di “mi piace”, quanti di voi sognano di diventare famosi? Un tempo c’era il grande schermo, poi il piccolo, ora il piccolo ha degli alleati: mouse, tastiera e webcam.
Infinita è la scelta dei fenomeni su Youtube, quelli “da baraccone” e non, tutti con un unico scopo: far salire quel maledetto contatore, conquistarsi il proprio pubblico, essere famosi per dieci minuti, o divenire una star per pochi eletti; coloro che ci “followano”, mettono “mi piace”, ci condividono, sono la nostra dose quotidiana in un mondo che fagocita tutto ciò che non è “farsi vedere”, dove la prima regola del gruppo di sconosciuti è esserne il leader, ottenere il loro beneplacito, il loro amore egoista.
Alberto Paleari, attraverso il suo “Saranno Infami”, ci racconta due storie di periferia, quella di Ivan, ragazzo irrequieto selvaggiamente legato al suo stato di totale abbandono in strada, e quella di Astrid, la vera protagonista della storia, talmente ossessionata dal bisogno di riscatto della propria condizione sociale, da sognare un futuro tra i lustrini pixelati del Web, tra un banner e l’altro, con il contatore che va come il motorino di Ivan, libero verso la perfezione dell’attimo.
L’assenza di razionalità in ciò che accade, in quel gesto terribile compiuto per circostanze altrettanto assurde, sembra quasi giustificata da un mondo che non permette altre vie d’uscita al di fuori del sogno, della pura, immaginifica sostanza shakespeariana che sembra scaturire, inaspettatamente, proprio da una finestra virtuale, tanto lontana dalla realtà quanto può esserlo soltanto un’illusione.
Se la cosa può ancora sorprendere, lo stile è estremamente realistico, incentrato su dettagli e sensazioni provate dai due giovani protagonisti, anche se, in realtà, la voce è quella di questa generazione, o meglio di quella dei cosiddetti “nativi digitali”: coloro che si sono trovati a misurarsi con una forza bifronte sin dalla nascita.
Tra lei e la realtà, distanza.
La questione, in breve, riguarda lo stupore, l’amarezza che ci colpisce, quando ci accorgiamo dell’esistenza di così tanto disprezzo nei confronti della vita e, nei casi più estremi, di indifferenza verso l’essere umano in quanto forma di vita, e l’“essere” umano, con tutte le conseguenze che ne deriverebbero.
Perché, dunque, diventare a tutti i costi “più famoso di Gesù”?
Il motto sembra un po’ stantio, diciamolo, e la prosa tocca toni a volte troppo semplicemente colloquiali, senza necessità di realismo, spezzandosi in dialoghi quasi teatrali, in scambi di battute che cozzano (e stridono) tra loro, ma forse proprio questa è la sensazione che Paleari vuole trasmetterci quando riporta lo schema di conversazioni su Twitter, con tanto di campi preimpostati da compilare e #hashtag da seguire, persino a costo di inficiare la scorrevolezza della narrazione squisitamente intesa.