In una Londra, fumosa di nebbia (perché è questo lo stereotipo della metropoli inglese) Sherlock Holmes si aggira con pipa e lente d’ingrandimento.
A volte succede che un personaggio letterario esca dalle pagine e assuma la fisionomia di una persona in carne e ossa, e questo è accaduto al noto investigatore, anche se un po’ di merito andrebbe a Conan Doyle, lo scrittore scozzese che alla fine del XIX secolo aveva prodotto una serie di libri incentrati sulle avventure del detective più famoso del mondo.
Ma Sherlock Holmes era figlio di un altro personaggio letterario, tale Dupin, detective anch’egli, che vide la luce ne I delitti della via Morgue di Edgar Allan Poe. Le analogie tra i due sono numerose, ma una in particolare risalta più di ogni altra. Le tracce sulla scena di un crimine sono per entrambi indizi per giungere al colpevole. Dotati di capacità intuitiva, carpiscono da elementi minimi ciò che ai comuni mortali normalmente sfugge.
Potremmo naturalmente dedurre che la moderna criminologia nasce proprio da queste due figure di pura invenzione, ma a me interessa un altro aspetto del problema. Dupin e Sherlock Holmes rappresentano la faccia letteraria di un sapere scientifico che per comodità chiamiamo Paradigma Indiziario o anche scienza dell’individuale. L’ipotesi, poi, non è tanto infondata se Edgar Allan Poe ne I delitti della via Morgue nomina Georges Cuvier (1769-1832), biologo e paleontologo. Curvier affermava che da il più piccolo frammento osseo si può ricostruire l’intero organismo di un animale preistorico. Conan Doyle, poi, si era laureato in medicina presso l’università di Edimburgo con il professor Joseph Bell. Il professor Bell, oltre ad essere stato un ottimo chirurgo, fu anche un formidabile osservatore dei sintomi dei pazienti da cui poi ricavava la diagnosi.
Di lui Conan Doyle disse: “Il dottor Bell fece entrare un paziente. Appena lo vide, disse: “Ve la siete goduta la passeggiata a West Rings? come faccio a saperlo? Semplice. C’è della terra rossa sulle vostre scarpe e quella è l’unica zona dei dintorni in cui c’è quel tipo di suolo”.
Ma il paradigma indiziario attraversa la scienza dell’epoca in via trasversale. Non è un azzardo affermare che i suoi esponenti possono essere pensati come detective del sapere.
Incontriamo in questo percorso l’italiano Giovanni Morelli (1816-1891), storico dell’arte. Prima di dedicarsi allo studio dell’arte, Morelli si laureò in medicina. Come storico dell’arte, divenne famoso per un metodo che gli consentiva di attribuire un dipinto ad un artista piuttosto che ad un altro o di riconoscere un falso da un originale. La sua era un’argomentazione semplice. Se noi di un quadro percepiamo la totalità, difficilmente riusciremmo a capirne l’autenticità. Dobbiamo, invece, soffermare la nostra attenzione sui particolari del dipinto. È su quelli che la coscienza dell’artista è meno vigile I dettagli cui si riferiva Morelli erano i capelli, i peli di una barba, la forma delle unghie, etc.
Ma il metodo “Morelli” attrasse l’attenzione di Sigmund Freud al punto da citarlo ripetutamente nello studio che dedicò al Mosè di Michelangelo.
Tra i primi libri del fondatore della psicoanalisi c’è anche la psicopatologia della vita quotidiana in cui si mettono in evidenza tutti quei lapsus che la coscienza non controlla. Indizi di un’altra dimensione e di un altro linguaggio.
In una lezione del 1915 agli studenti dell’università di Vienna, Freud affermò: “Se, in qualità di agenti investigatori, partecipate alle indagini su un assassinio, vi aspettate davvero di trovare la fotografia del colpevole sul luogo del delitto con tanto di indirizzo accluso oppure non dovreste accontentarvi di tracce relativamente lievi e non molto perspicue della persona ricercata? Non sottovalutiamo questi piccoli indizi: forse, a partire da essi, sarà possibile trovarsi sulle tracce di qualcosa di più grande”.
Per questa via torniamo al punto da dove eravamo partiti. Dupin e Holmes lavorano su piccoli indizi, ma anche Curvier, Bell, Morelli, Freud operano su piccoli indizi. Il punto d’arrivo è certamente diverso.
A differenza della scienza classica, che si basa su esperimenti da cui trarre leggi universalmente valide e su fenomeni che si reiterano anche a distanza di tempo (una mela cade sempre a dimostrazione della validità delle gravitazione universale), le scienze dell’individuale o del paradigma indiziario deducono dalla traccia, indizio o sintomo (i nomi si equivalgono) solo postulati indimostrabili. L’inconscio di Freud si presume da una serie di fenomeni, ma nessuno sarà mai in grado di osservarlo sperimentalmente.
La speranza era ovviamente che anche per questo metodo si potesse parlare di infallibilità della ragione. Su questa idea sono nati Dupin e Holmes. Le loro sono intuizioni che colpiscono sempre nel centro.
Ma nessuno poteva prevedere che il nuovo secolo avrebbe eroso dalle fondamenta la fiducia nel progresso illimitato del genere umano. Dietro l’angolo si nascondeva “la banalità del male” e nessun indizio, al tempo dei detective, arrivava tanto lontano.