La memoria è un telo immacolato su cui le emozioni proiettano fotogrammi vividi come latte di vernice su una parete imbiancata di fresco.
Blanche arrossisce. Sul telo dei suoi pensieri, flash colorati le riportano frammenti di scene della sera prima. Arancio, giallo, carminio acceso. Così ricorda la notte trascorsa con lui.
Oh, perché quello stupido telefono non suona?
Blanche ritorna alla finestra, la spalanca e si appoggia sul parapetto. La luce questa mattina è una cascata d’acqua fresca e lei si disseta, chiusi gli occhi per sentirla penetrare in ogni poro della sua pelle scoperta.
Ieri sera Céleste l’ha truccata.
«Non c’è molto da ritoccare, cara. Sei bellissima… I tuoi occhi hanno il colore della lavanda».
La Provenza è un’esplosione di pollini e odori in questo periodo ed anche i mazzolini nei cassetti dell’armadio sembrano gridare il loro profumo che si mescola a quello del legno e della biancheria.
Una canzonetta sale dalla trattoria in fondo alla strada. Blanche vorrebbe danzare. Sì, danzerà. Si volta verso il letto e cerca a tastoni la camicia. Un respiro profondo, un bacio. Poi avvolge le maniche attorno al collo. Uno, due, tre giri. Attenta a non sbattere contro l’armadio. E c’è anche il letto, naturalmente. La finestra aperta.
Ma almeno per il tempo della canzonetta Blanche può scordare che tra qualche mese la luce residua dei suoi occhi si spegnerà per sempre, che i medici si sono arresi – riesce a sentire la disillusione scorata dei loro camici bianchi – , che il ricordo dei colori forse svanirà come le scie d’acqua che arano per qualche istante l’acqua scura del fiume.
Si ripete una poesia di Tagore, ogni verso come una preghiera. Ricorda la morbidezza dell’accento di lui mentre leggeva, trasparenti le parole come bolle di sapone a involarsi iridescenti.
Dimmi se questo è vero, amore mio, dimmi se questo è tutto vero. Lui, Bruno, uno studente italiano che voleva ritrarre ad ogni costo quegli occhi color lavanda…
Quando questi occhi scagliano i loro lampi
le oscure nubi nel tuo petto danno risposte tempestose. Come fu facile e difficile insieme abbandonarglisi, darsi a lui come un fiocco di neve in un baratro oscuro eppure caldo come un nido!
È vero che le mie labbra sono dolci come il boccio del primo amore?
Che le memorie di mesi svaniti di maggio indugiano nelle mie membra?
Che la terra, come un’arpa, vibra di canzoni al tocco dei miei piedi? Oh, potesse non finire mai questa canzonetta, potesse il profumo di lui restare su questa camicia come un’impronta!
È poi vero che gocce di rugiada cadono dagli occhi della notte
al mio apparire e la luce del giorno è felice quando avvolge il mio corpo?
È vero, è vero che il tuo amore viaggiò per ere e mondi in cerca di me? No, meglio non pensare allo scoramento di doversene separare, un giorno. Che Bruno non desideri una compagna da portare appesa al braccio come un creditore importuno… non vuole neanche sospettarlo.
Che quando finalmente mi trovasti il tuo secolare desiderio
trovò una pace perfetta nel mio gentile parlare
nei miei occhi e nelle mie labbra e nei miei capelli fluenti?
E dimmi infine se è proprio vero che il mistero dell’infinito
è scritto sulla mia piccola fronte. Dimmi, amor mio, se tutto questo è vero. Infinito, infinito, che questo amore sia inf…
La canzonetta finì.
Blanche si lasciò cadere sul letto. L’odore di Bruno s’era mescolato a quello delle sue mani, della colonia che s’era spruzzata sui capelli e dietro le orecchie.
Bussare discreto.
Le nocche di Céleste, frusciare rapido di sottane e grembiule.
«Signorina Blanche… Blanche».
Rapido sollevarsi dal letto. È la nota nella voce di Céleste che l’allarma.
«Una lettera per te».
«È lui che te l’ha data».
Céleste reprime un breve singhiozzo.
Blanche è calma. Riesce a sentire la disillusione scorata del suo grembiule bianco.