Proust affermò una volta che “i grandi letterati non hanno mai creato che una sola opera”. Gli esempi sono innumerevoli, e la massima andrebbe bene per tanti scrittori, soprattutto per lui, Proust. Alla ricerca del tempo perduto è una delle opere d’arte più influenti del panorama culturale del ‘900 e dei nostri tempi. Un’opera titanica, divisa in sette volumi e mostruosa sia per ambizioni che per contenuti. A molti lettori Proust appare come il più grande tra i narratori del secolo scorso, ma in letteratura, come in ogni altra cosa, solo le coscienze pavide e ricche di buon senso rifuggirebbero da ogni forma di classificazione. Personalmente scapperei da tutti questi male intenzionati, ma una cosa è certa: interpretare oggi Proust significa anche tentare di capire perché è ancora così vicino alla nostra sensibilità, perché è così letto, amato e studiato.
Il primo atto di quest’opera è il romanzo Dalla parte di Swann, pubblicato per la prima volta nel 1913. Diviso in tre sezioni, il romanzo narra nella prima parte dell’infanzia del protagonista nel villaggio di Combray; nella seconda parte invece ci viene rappresentato l’innamoramento di Charles Swann, alter ego del narratore Marcel, nei confronti della giovane Odette; nella terza e conclusiva parte del romanzo fa la sua comparsa per la prima volta la straordinaria figura femminile di Gilberte, figlia di Charles Swann e di Odette, che diventa il primo amore di Marcel.
Nelle prime pagine il narratore rievoca le stanze in cui nella sua vita ha dormito. Sono pagine memorabili, affascinanti, ricche di suggestione e dolcezza, intrise di nostalgia ma anche fortemente enigmatiche. In questa sorta di ouverture Proust introduce i temi principali della sua opera, con figure narrativo-esistenziali che sono la sostanza di tutto il libro: il tempo strettamente legato ai luoghi, la memoria, il sogno, l’abitudine, e soprattutto il desiderio. Un desiderio che a sua volta si allaccia alla figura della “passante”, colei cioè che è fonte di desiderio e di esaltazione ma che alla fine lascia l’amaro in bocca e tanta frustrazione. Le passanti di Proust sono le fanciulle in fiore, delle popolane che suscitano in lui desideri voluttuosi, delle divinità urbane che malinconicamente non si lasciano avvicinare. In questa ambiguità ossessiva, masochista e punitiva, Proust vede nella donna un ideale propriamente artistico, e quindi un potenziale erotico tremendamente sublimatosi nella scrittura. Al contrario, gli uomini vengono osservati come degli animali, con quella bramosia sessuale simile all’interesse di un pittore in procinto di disegnare su tela una donna dal pube scoperto. In termini proustiani, l’amore assume forme sempre più simili a quelle di una patologia, dalle sfumature quasi religiose, quindi incestuose, se vogliamo, un male sacro, un’aberrazione umana che nasce dal desiderio dell’altro corpo in modo volitivo e fuggevole, un animale affamato delle anime che abitano questi corpi, ma trattenuto da una strana ansia sempre dolorosa, afferrato alla gola dal morbo della gelosia.
Col proseguire della narrazione giungiamo ad una scena tra le più importanti del libro in cui il narratore, Marcel da piccolo, angosciato per non aver ricevuto il bacio della buona notte dalla madre, ottiene dal padre il permesso che la madre passi la notte con lui. Il clima è intensamente e dolorosamente edipico: il gesto dà una soddisfazione immediata al pargoletto, ma intacca la sua volontà di resistere al dolore e la sua responsabilità del tutto inconscia di predisporsi alla vita, creandogli un primissimo ed inavvertibile senso di colpa. Successivamente il narratore, che descrive tale scena attraverso il ricordo degli odori della propria vecchia stanza, differenzia quella che è la “memoria volontaria” dalla “memoria involontaria”: spesso capita che un odore, un sapore, una sensazione qualsiasi, possano rievocare qualcosa del nostro passato. Insomma, una sorta di deja vù in puro trip psicologico-esistenziale.
La parte centrale del romanzo è totalmente affidata all’episodio intitolato Un amore di Swann, in cui la narrazione magmatica del testo lascia momentaneamente l’Io passando ad un Egli del tutto apparente, e può essere definita a tutti gli effetti una storia che fa voce e capitolo a sé all’interno dell’economia narrativa dell’opera. Si tratta della parte nevralgica di tutta la Ricerca, in cui si raccolgono e si diramano i temi portanti dell’intera opera: la gelosia come condanna, la realtà creata dal linguaggio dell’Arte, l’implacabile e fluido intrecciarsi delle emozioni con la stagnante abitudine, i sogni e gli incubi della mente e dell’immaginario sociale. Swann è l’alter ego del narratore protagonista, la sua storia d’amore anticipa e introduce quella di Marcel con Gilberte, prima, e con Albertine, poi. Un amore di Swann è un punto fermo nell’ermeneutica di tutta l’opera, da cui bisogna assolutamente partire per abbracciare la grandiosità di questa complessa costruzione letteraria.
Nella terza ed ultima parte il narratore fantastica sui nomi di vari paesi e prende infine atto di una realtà dolorosa quanto sconcertante: tutto ciò che ha conosciuto negli anni addietro non tornerà mai più.
L’intera Opera di Proust non conosce alcun paragone: lasciatevi trasportare da questa ricerca della Verità.