Dicono che Napoli si sia fermata, dicono che Napoli sia una bella città, dicono che a Napoli la Cultura sia morta. È una città che non offre, non cresce, non produce. C’è chi fugge, chi resta, chi sogna, chi aspetta.
Di Napoli si è detto tanto, e ancora si dice. Spesso lo fa chi non conosce, chi, Napoli, non l’ha mai vissuta.
Eppure per capire realmente qualcuno, a volte, c’è bisogno di condividere qualcosa, di “creare” un legame, di sentire insieme e insieme cominciare.
Rosario Esposito La Rossa è un ragazzo di 23 anni, è nato e cresciuto a Scampia, quartiere a Nord di Napoli. Rosario ha fatto tanto ma ancora sogna. Si definisce uno scrittore che per mantenersi fa l’editore e per non morire allena “i pulcini” di una scuola calcio di frontiera.
Rosario è un ragazzo, è Napoli. Rosario è una storia qualunque.
«I miei lavori nascono principalmente da tre sentimenti e due parole. Nascono dall’indignazione che attanaglia lo stomaco dei giovani, i quali non accettano il mondo preconfezionato. Indignazione che ti spinge a raccontare. I Miei lavori nascono dalla rabbia che deve essere canalizzata, rabbia generata dalla morte indescrivibile di un cugino di 25 anni ammazzato dalla criminalità organizzata per errore. Tutto nasce dal sogno che apre le strade verso sentieri prima sconosciuti. I miei testi si bagnano le proprie radici nelle parole resilienza e utopia. »
Rosario ha scelto. Ha scelto di raccontare la sua città, e filtrarla attraverso gli occhi di chi la vive e pervade.
«Napoli spesso dorme sui suoi allori. Chi è grande, o lo è stato, non vuol cedere il posto a nessuno. Non amo di certo gli intellettuali borghesi di poltrona che raccontano storie di gente che non hanno mai conosciuto, a cui non hanno mai stretto la mano. L’essenza della Napoli mediterranea e moderna è da ricercare nei sobborghi, tra i vicoli e i muri dipinti, nei volti dei ragazzi che sono stanchi della pizza e il mandolino. Non è difficile scovarli basta per un attimo comprendere le logiche di potere culturale di questa città. I diversi sono cancellati.»
Rosario è uno che preferisce continuare ad immaginare ciò che vorrebbe essere. Eppure Rosario è uno di quei ragazzi qualunque che ha saputo cogliere l’essenza della propria città, valorizzandone i punti di forza. Dall’associazione “Vo.di.Sca.” (acronimo di Voci di Scampia), fondata in memoria del cugino scomparso, nasce nel 2010 la compagnia teatrale Vo.di.Sca. Teatro. L’obiettivo resta quello di promuovere spazi di legalità e normalità nel quartiere di Scampia.
«Attualmente speriamo di poter quanto prima inaugurare la prima Biblioteca Popolare per Ragazzi di Scampia, che già conta 16mila volumi e attende solo lo spazio per poter essere a tutti accessibile. Per noi questa è una grande impresa, è qualcosa che lasciamo al territorio, che abbiamo costruito da zero. Un po’come il teatro che serve ad abbattere le ideologie strutturate nella mente dei ragazzi, costretti a ingurgitare subcultura rionale, maschere del cattivo, in cambio del pass di branchi e gruppi. Il teatro nasce dalla voglia di raccontare la nostra terra attraverso un arte totale, che rende vivo un quartiere spesso dormitorio.»
E a chi gli domanda cosa significhi crescere a Scampia, lui risponde che Scampia è un quartiere come gli altri, anzi no. Non è come il resto della città, «Io che ci abito e cerco di renderla una terra ospitale per i miei figli dico solo che Scampia è una terra di bambini.»
Rosario è un pezzo, piccolo piccolo, di un puzzle assai più grande che è una città difficile come Napoli, difficile come lo sono tante città, con un passato forte come quello partenopeo. Eppure Rosario crede che un’idea possa cambiare effettivamente e concretamente il mondo che abitiamo. Sì, la chiamano utopia. Io, invece, lo chiamo scegliere. Ciò che in molti ancora non fanno.
«Cambierei il disinteresse, il non partecipare al cambiamento, la solita frase – tanto non cambierà mai nulla -. Credo nelle potenzialità turistiche e culturali di Napoli, ma per trasformare un luogo c’è bisogno dell’aiuto di chi abita in quel luogo. Napoli è una città giovane, piena zeppa di giovani, ma annichilita dall’alito dei dinosauri.»
E quando la scelta si sposa con il lavoro, il risultato non può che essere quello di un ragazzo che ancora crede. Che risponde a chi non comprende, che produce, che sbaglia e sogna. Che non si arrende a chi gli dice – Napoli è questo -.
«Credo nel lavoro, nelle piccole imprese, nei giovani che si uniscono e tentano di lavorare nel territorio. Secondo me salveranno questa città un manipolo di fanciulli che non hanno paura di fallire. È un po’ come un rigore, segna solo chi ha il coraggio di tirarlo. E non l’ho detto io, ma Diego Armando.»