Questo romanzo autobiografico ha capacità straordinarie. Ti risucchia nel suo mondo, ti cattura, ti stringe e non ti lascia più andare, ti rinchiude in un’atmosfera malata e psichedelica. La narrazione, per certi versi simile a quella del monologo interiore, è scandita dai cambiamenti d’umore della protagonista. Louise, figlia di uno scrittore famoso e di una donna eccentrica e incostante, sembra prendere ogni cosa per il verso sbagliato: la morte della nonna, la malattia della madre, il divorzio. Pare che ogni svolta della sua vita debba essere inevitabilmente negativa. E, invece di combattere, si lascia andare. Si chiude in sé stessa, abbandonandosi all’egoismo, alla cattiveria, alle droghe. Non ha la forza di opporsi a quello che le accade, o forse non vuole averla.
La sua relazione con Adrien è insana: un attaccamento morboso fondato su una sostanziale divergenza di interessi, a cui consegue un continuo e martellante senso di inadeguatezza che consuma Louise dall’interno. Lui la abbandona, e lei neanche ci vuole credere, tanto che lo chiama al telefono per chiedergli se è proprio vero che se ne è andato; ad un certo punto rimangono in silenzio e allora si scatena la disperazione nella mente della protagonista: “oh per favore ancora un pochino, come due siamesi appena separati, come un corpo decapitato che continua a correre, come una testa senza corpo che continua a rantolare”. Ma lentamente, grazie alla separazione, che la fa crescere e la riporta in qualche modo nel mondo reale, e all’arrivo di Pablo, Louise ricomincia a vedere la vita. Comincia a capire che il vuoto che sente dentro, la totale assenza di sentimenti ed emozioni, la sua incapacità di eccitarsi, sospirare, seguire un impulso, amare, non sono giusti; che vivere è un’altra cosa. La vita è lunga per permetterci di fare tutti gli errori possibili e, alla fine, non rimane che andarsene. Niente di grave.
Justine Lévy ricostruisce sullo scheletro della sua reale esistenza una vicenda struggente. Profondamente triste all’inizio, tanto malinconico e doloroso da farti star male con l’autrice, questo romanzo lancia, nella sua conclusione, un illuminante invito alla vita. Fa vedere che non c’è tempo per stare a riflettere sulla propria desolazione, bisogna agire nel mondo, muoversi, danzare, passare da un’avventura all’altra, non fermarsi mai. Crudo e spietato, è un libro che si addentra in eventi familiari e sociali difficili da capire per chi ne è escluso, ma l’abilità della Lévy ci trasporta quasi dentro la sua testa, e noi vediamo tutto con i suoi occhi. E quello che vediamo, senza dubbio, lascia il segno.