Traversare una strada per scappare di casa lo fa solo un ragazzo, ma quest’uomo che gira tutto il giorno le strade, non è più un ragazzo e non scappa di casa.
Lavorare stanca, Cesare Pavese.
Ad un certo punto Andrea decise di andare nel paese dei bambocci. Aveva sei anni e la prospettiva di crescere non gli piaceva affatto. I soliti bene informati a scuola gli avevano garantito che una volta arrivato nel paese dei bambocci restavi bambino per sempre. E la cosa più che mai lo interessava, visto che l’idea di diventare adulto lo annoiava da morire. Quando era con i grandi non riusciva a trattenere gli sbadigli e fosse stato per lui avrebbe volentieri continuato a giocare per tutto il resto della vita. Per non parlare delle volte in cui era costretto a sorbirsi le cene con gli amici dei suoi genitori. Era tremendo!
Per quel che ne sapeva il paese dei bambocci era piuttosto lontano e difficile da raggiungere, ma questo non costituiva un problema per Andrea. Era certo di avere coraggio da vendere dal momento che dormiva in stanza al buio, senza neanche un lumicino di sostegno. Certo non era solo in stanza, ma era come se lo fosse, visto che sua sorella Laura non appena entrava nel letto cadeva come in letargo.
In ogni caso, Andrea sarebbe stato disposto a tutto pur di evitare di fare la fine degli adulti, buoni solo a tenere il muso, a lamentarsi e a litigare con chiunque. Se poi diventare grandi poteva significare, più tardi, diventare anche vecchio si passava da male in peggio. Infatti se c’era una cosa che faceva terribilmente impressione ad Andrea erano i vecchi, salvo sua nonna che con i capelli biondi e la bocca a canotto sembrava ancora una ragazzina. Ogni volta che Andrea li incontrava per strada si pentiva di essere uscito. Le rughe, la pelle avvizzita, il sorriso senza denti lo impressionavano da morire.
Per fortuna in cortile aveva sentito qualcuno dire che nel paese dei bambocci i vecchi restavano sempre chiusi in casa per evitare il sole accecante. Perché nel paese dei bambocci – cosa meravigliosa a parere di Andrea – il sole non tramontava mai, si vedeva anche di notte. Insomma, Andrea era pronto a partire. Si trattava solo di mettere acqua e panini nello zaino e iniziare a incamminarsi per sentieri.
Il paese dei bambocci era nascosto nel bosco sulle colline che circondavano la piccola casa in cui viveva Andrea. Certo un po’ gli dispiaceva lasciare la madre e il padre. Tutto sommato gli sarebbe mancata anche la sorella, ultimamente più pestifera del solito, ma il gioco valeva la candela. E nulla avrebbe potuto fermarlo.
Quando partì, le ultime luci del tramonto brillavano. Non appena si addentrò nel bosco però ogni luce scomparse e Andrea si ritrovò in mezzo all’oscurità, interrotta a tratti dalla luce debole che proveniva da piccolissime lucciole. Subito scoprì che il bosco- che in lontananza sembrava una piccola striscia di terra verde – era in realtà una immensa distesa di alberi grandi come montagne. E gli alberi avevano occhi grandi e lo guardavano con una certa diffidenza, proprio come si fa con un ospite sgradito. I sentieri erano fangosi e questo non gli rendeva facile il cammino.
Andrea iniziò ad avvertire una gran paura e la paura aumentò quando sentì il verso allarmante e continuo di un gufo. Attorno a sé non intravedeva nulla di incantato, al contrario di quello che aveva immaginato: ogni tanto dalla terra spiccavano ciclamini viola, ma avevano la corolla piegata all’ingiù come soffocati, perché nel bosco mancava l’aria e se esisteva al mondo una cosa che Andrea detestava quella era il caldo. Nonostante tutto questo, era deciso a non fermarsi: pensava che interrompere il viaggio sarebbe stato da vigliacchi, già immaginava le facce dei compagni di scuola quando avrebbero saputo.
Ma quando, d’improvviso, il buio si infittì e le lucciole scomparvero del tutto, Andrea iniziò a pensare che forse era il caso di tornare indietro; che forse il paese dei bambocci non esisteva, che forse se questa era la fatica per restare bambini era preferibile diventare grande. Anche subito.
Si girò per tornare indietro, anche se non era possibile vedere la strada, quando un sentì un rumore sordo di ali: il gufo si impossessò del suo zainetto e volò via. Andrea restò senza acqua e né pane, e le lacrime iniziarono a coprirgli il volto lentigginoso: pianse per ore e, morto di sete, non ebbe altra scelta che leccarsi le lacrime con la lingua. Aveva assaggiato di meglio, ma dovette accontentarsi. Stanco, decise di addormentarsi. Si distese sotto un albero uguale ad altri mille che coprivano il cielo come fossero un tetto. Prima di chiudere gli occhi pensò che se solo avesse potuto tornare indietro…
Al risveglio era ancora buio, il paese dei bambocci sembrava sempre più lontano e la strada di casa introvabile. Andrea pensò con una stretta al cuore che forse non sarebbe mai più ritornato. Allora, come faceva tutte le mattine appena sveglio, unì le mani per pregare, ma non vi riuscì: le sue mani erano diventate di marmo. E pian piano tutto il suo corpo stava diventando di marmo. Andrea ormai era diventato una statua, immobile, ferma e gli era perfino impossibile piangere. E quanto, quanto avrebbe desiderato farlo…
Driiiiiiiinn!!!
Erano le sette e mezza del mattino. Suonò la sveglia, e Andrea si destò di soprassalto. Subito provò a muovere le dita e per fortuna ci riuscì, poi si toccò il volto e si accorse con gioia che era di carne ed ossa e non di marmo. Era stato solo un brutto sogno…
Si guardò attorno e mentre la luce del sole iniziava a riempire la stanza pensò che non vedeva l’ora di diventare grande. Magari poteva diventare cuoco per sfamare chi restava senza cibo. Perché la fame e la sete pure dovevano essere orrende. Corse in cucina con l’unico desiderio di fare colazione e di abbracciare i suoi genitori e sua sorella. In quel momento Andrea era disposto persino a partecipare alla prossima cena a casa dei loro amici, perché in fondo i grandi non dovevano poi essere così noiosi.