Ci sono personalità così forti da incarnare un secolo.
S. Francesco d’Assisi ha fatto di più: in lui, probabilmente più di ogni altro, si riassume lo spirito di un’intera epoca, il Medioevo. Assoluto protagonista della vita religiosa del XIII secolo, S. Francesco si è ritagliato uno spazio tutto suo nella storia della letteratura italiana. E che spazio! È infatti del Patrono d’Italia il primo testo poetico in lingua volgare italiana: stiamo parlando del Cantico di frate Sole, chiamato anche Laudes creaturarum o Cantico delle creature.
L’opera non ha impiegato molto tempo a conquistare quell’imperitura Gloria che spetta solo ai capolavori.
Il Cantico è una preghiera a Dio, un inno alla Sua grandezza. Si compone di trentatre versi non legati a un metro preciso, ma ritmati secondo schemi della prosa latina medievale e della poesia biblica (forte è l’influsso, e non potrebbe essere altrimenti, del Cantico dei Cantici). La lingua, come già detto, è il volgare italiano, più precisamente quello tipico della regione dell’autore, l’Umbria. Fu composto negli ultimi annidi vita del santo, probabilmente nel 1224, ma non si sclude l’anno successivo (la “Sora Morte” l’avrebbe colto nel 1226).
Tutto il componimento poetico è all’insegna della semplicità, palese nello stile e nei contenuti. Francesco attua una svolta importante: rifiuta, infatti, nettamente la tendenza esegetica – tipica del suo tempo – che mirava alla continua interpretazione e re-interpretazione dei testi. Nel Testamentum è chirissimo da questo punto di vista: l’invito è quello di avvicinarsi alla sua parola così semplicemente e senza commento, ed è con questo spirito che il lettore di ogni tempo viene chiamato all’esperienza intima della lettura di questo testo.
Semplicità, abbiamo detto. Vero, ma non certo priva di cultura. Tutt’altro: dal Cantico traspare la grande cultura del suo autore, profondo conoscitore della letteratura romanzesca francese. Su questo binario trovano spazio i tanti termini “cortesi”, le figure e gli stilemi tipici di quella letteratura. Ma non solo. Francesco sceglie con grande consapevolezza il substrato filosofico-dottrinale: la strada che intraprende è quella del rapimento mistico, dell’estasi, preferita alla speculazione razionale. Il Cantico vuole essere un’esaltazione senza pari dell’amore di Dio, che si manifesta nelle creature stesse: l’iter è dunque dal Creato al Creatore.
Laudato sie mi’ Signore, cum tucte le tue creature
È un verso divenuto celebre, con il primo emistichio che si ripete anaforicamente nelle strofe successive. L’inno invita a lodare le creature del Signore: il sole, le stelle, i quattro elementi (aria, acqua, fuoco, terra), e naturalmente l’uomo, l’unica creatura dotata della capacità di perdonare. Infine, la lode di sora nostra morte corporale, ultima tappa terrena di cui viene riconosciuta la legittimità e necessità.
Laudate et benedicete mi’ Signore’ et ringratiate
et serviateli cun grande humilitate
Si chiude con questi due versi il Cantico, e con quell’ultima parolina che ha scandito tutta la vita di S. Francesco d’Assisi.