Ho comprato questo romanzo qualche anno fa. Ho cominciato a leggerlo, ma l’ho abbandonato dopo poche pagine: la scrittura asciutta, i periodi brevi, l’apparente lentezza della vicenda mi avevano subito demoralizzato, cosicché decisi di non proseguire la lettura. Forse non ero ancora pronta o forse era scritto nel mio destino che io riprendessi in mano questo libro proprio adesso. Fatto sta che, in questo marzo 2012 in cui ho fatalmente ricominciato a leggere Dance dance dance di Murakami Haruki, la lettura mi ha preso così tanto che mi sono chiesta che cosa mi fosse passato per la testa per lasciar perdere avendo letto solo qualche capitolo.
Un albergo misterioso, personaggi che entrano ed escono continuamente dalla vita del protagonista, strani individui vestiti con pelle di pecora e una ragazzina bellissima con poteri paranormali: più o meno sono queste le linee portanti della vicenda. Da qui si capisce subito che non è una storia facile da inquadrare, tanto meno da raccontare. Qui sta l’abilità dell’autore, che con il suo stile talvolta secco ma ricco di immagini efficaci e suggestive (ricorrente quella riferita al lavoro del personaggio conduttore della vicenda, di cui non è mai detto il nome, che è un giornalista free-lance e afferma che il suo impiego consiste nello “spalare la neve della cultura”) ci accompagna passo per passo in questo misterioso giallo: circondati da un’atmosfera onirica, incastriamo un tassello dopo l’altro insieme al nostro spalatore di neve, vivendo con lui ventiquattro ore su ventiquattro.
Infatti, della sua esistenza quotidiana sappiamo tutto: cosa mangia, cosa beve, quando si fa il bagno, che libri legge, dove va a far la spesa, cosa compra e così via. La descrizione così dettagliata delle sue giornate conduce verso un’inevitabile immedesimazione, o perlomeno verso un attaccamento affettivo nei confronti del personaggio. Inizialmente è difficile comprenderlo, spesso è definito, da chi incontra via via nel romanzo, un tipo strano. Ma proseguendo la lettura, diventa sempre più chiaro il modo in cui ragiona, anche se le sue azioni non perdono mai la loro caratteristica imprevedibilità. L’aspetto che maggiormente lo contraddistingue, e che probabilmente influenza tutti i suoi comportamenti, è il completo disinteresse per quello che gli altri pensano di lui. Se fa qualcosa, è perché gli va, indipendentemente dalle reazioni che potrebbe provocare in chi gli sta accanto. Parallelamente, fa battute che non fanno ridere, che non sono capite, ma continua a farle pur essendone consapevole.
Sono sorprendenti, da un punto di vista sia stilistico che narrativo, ma anche umano, i momenti in cui si lascia andare in pensieri fluttuanti, che s’incastrano uno con l’altro, si susseguono senza alcun filo logico e portano a considerazioni grottescamente geniali, favolistiche e universali, come questa:
Il telefono (che per inciso io immagino di sesso femminile) prima di tutto è irritato dal fatto di non essere un puro concetto. Lo fa arrabbiare il fatto che la comunicazione sia basata su qualcosa di impreciso e imperfetto come la volontà umana. Non solo è imperfetta, è anche troppo casuale e passiva.
Leggendola, e leggendone anche altre disseminate per il romanzo, sono rimasta colpitissima: per portare alla superficie riflessioni così intimamente radicate e dare loro un aspetto reale e comprensibile, ci vuole una capacità espressiva fuori dal normale, qual è, secondo me, quella dell’autore. Consiglio il romanzo ad amanti di gialli, fantasy, noir, romanzi d’avventura, psicologici, utopistici, di fantascienza e anche storici. E anche a quelli che non hanno un genere preferito. Insomma, lo consiglio a tutti. Geniale.