Un anno fa, di questi tempi, erano i mesi caldi della cosiddetta ‘Primavera Araba’, che incomincia il 17 dicembre 2010 in Tunisia, vede il suo apice nella ‘giornata della collera’ avvenuta a Il Cairo il 25 gennaio 2011, e ancora oggi è in corso tale movimento sviluppatosi nelle regioni del Medio Oriente e del Nord Africa. Proprio pochi giorni fa è stata fatta una strage di civili ad Homs, antica città della Siria, dove sono stati uccisi decine e decine di donne e bambini. Chi ha vissuto da vicino gli avvenimenti della ‘Primavera Araba’, in particolare quelli de Il Cairo del gennaio 2011, è il fotoreporter Abdullah Ferdinando Ottaviano Quintavalle, in arte ‘Mexico’, nato a Caracas. Trasferitosi a Napoli in età adolescenziale è stato sempre attratto dalla cultura araba, tant’è che nel 2005 si è convertito alla religione islamica ed è per questo che nel suo nome intero compare anche il nome di Abdullah. Attualmente vive nella capitale dell’Egitto.
Nella capitale egiziana ha seguito tutta la rivoluzione araba, facendo degli scatti che hanno immortalato scene della rivolta.
Ho voluto dare molta importanza alla presenza femminile negli eventi in quanto c’erano donne che erigevano barricate in piazza, altre che invece erano scese per strada con i propri bambini, ma purtroppo non tutte le foto sono state pubblicate in quanto la polizia locale mi ha fermato e mi ha costretto a cancellare alcuni scatti. A proposito della polizia egiziana, aggiungo che il popolo viene sistematicamente taglieggiato dalla polizia locale che al contrario non tocca i ricchi e gli stranieri. Accade così anche in Tunisia, dove, nel 1994, ricordo che un bambino piccolo che vendeva accendini, alla sola vista degli agenti, scappò via piangendo. Rimasi molto colpito da questo episodio. In realtà non si capisce che è una lotta fra poveri, perché lo stesso poliziotto non se la passa certo bene con ciò che guadagna col suo lavoro.
Sulle vicende della rivolta, ‘Mexico’ esterna le sue perplessità.
La rivolta egiziana e quella tunisina sono state portate avanti da una classe giovanile abbastanza ricca, si pensi che solo i straricchi possono permettersi di andare all’università, ma poi, come sempre, nelle piazze è sceso il popolo e c’è anche chi è morto per questo. Personalmente ho notato che non è mai stato messo in primo piano né il popolo né tantomeno le sue reali esigenze. Si è solo parlato di far subentrare la democrazia ma non si sono messe in luce le vere problematiche del popolo e alla fine, pertanto, ritengo che alla sua parte più povera, questa rivoluzione, non sia servita proprio a nulla.
Andando oltre la rivoluzione, conviene che in Occidente arrivi un messaggio sbagliato riguardo la cultura araba.
C’è un’informazione totalmente errata, sarebbe bene incominciare a capire che non bisogna accostare l’Islam con la realtà politica che c’è nei Paesi orientali.
Parlando di vecchi lavori, ci racconta un episodio che avvenne nei primi anni ’90, quando si recò in Mozambico per svolgere un reportage che però non fu pubblicato.
Innanzitutto ricordo bambini che con un gancio di ferro, in una discarica, cercavano tra le sterpaglie, qualche rifiuto da rivendere. Ma ciò che mi sorprese più di tutto, è che appena arrivai, ritrovai subito davanti alla mia vista industrie di Coca Cola e di birra, e pensai tra me e me che era totalmente assurdo che in un Paese dove non arrivava acqua potabile nelle abitazioni, ci fossero simili imprese. Così come rimasi altrettanto stupito che il Vaticano acquistava terreni ma poi non finanziava un prete cattolico che stava lì in Mozambico da tempo e al quale servivano 15 milioni di lire per costruire una cisterna. Così arrivai ad una conclusione: nessun popolo nasce povero e il Mozambico stava in una situazione di forte povertà per colpa delle multinazionali americane e per colpa del Vaticano. Quando però dissi a Silvestro Montanaro per il quale dovevo fare il reportage fotografico, che volevo un articolo che denunciasse ciò che avevo visto, mi fu detto che mai avrebbero pubblicato un pezzo simile. Per tale motivo mi rifiutai di inviare le foto che avevo scattato e il servizio non fu mai più pubblicato.
Nella sua carriera compare anche un libro, ‘Grand Hotel Ferrovia’, una sua pubblicazione che raccoglie 36 scatti di clochard che vivevano nei pressi della stazione centrale di Napoli, in piazza Garibaldi.
Ho voluto immortalare persone che sono fuggite dai loro Paesi natii in cerca di fortuna ed invece hanno trovato l’inferno. Ho preferito però che i protagonisti non sapessero di essere stati fotografati. Alla fine avevo in mano tantissimi scatti compiuti in tre anni di lavoro, ma per il libro ho scelto, fra tutte, le foto migliori che sono risultate essere le 36 che ho deciso di raccogliere nel testo.
Infine ci parla del libro di Ermanno Rea, ‘Napoli ferrovia’, romanzo il cui protagonista è proprio ‘Mexico’.
Nel libro di Rea non compare esplicitamente il mio nome, difatti il protagonista si chiama ‘Caracas’, ma leggendo la storia si capisce che quello sono io, d’altronde Caracas è proprio la città dove io stesso sono nato. Devo dire che il libro mi è piaciuto, l’unica cosa che non ho condiviso, è il fatto che l’autore ha cambiato due aneddoti della mia vita facendomi fare delle azioni che mai avrei compiuto: nel libro si legge che avrei fotografato una mia ex fidanzata dopo che quest’ultima era svenuta per l’ennesima siringa che si era fatta, cosa assolutamente non vera, ed inoltre, sempre nelle pagine del romanzo, si legge che avrei sbirciato una mia amica prostituta che mi aveva dato ospitalità nella sua camera d’albergo per la notte, mentre lei si spogliava ed invece, al contrario, non mi sono mai ritrovato con lei nella sua camera.