Non può esserci un epilogo nella vita di un poeta. La sua potenza gli viene proprio da tutto ciò che non ha intrapreso, da tutti gli istanti nutriti di inaccessibile. Sente l’inconveniente di esistere? La sua facoltà di espressione ne è rinvigorita, il suo respiro diviene più ampio.
Una biografia si giustifica soltanto se mette in evidenza l’elasticità di un destino, la quantità delle variabili che esso comporta. Ma il poeta segue una linea di fatalità il cui rigore non può essere mitigato da nulla. È ai babbei che tocca in sorte la vita; e appunto per supplire a quella che i poeti non hanno avuto sono state inventate le loro biografie…
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Accanto a loro, un corpo si fortifica, poi si infiacchisce e si disgrega. Perché il poeta è un fattore di distruzione, un virus, una malattia mascherata ed è il pericolo più grave, seppure meravigliosamente indefinito, per i nostri globuli rossi. Vivere accanto a lui significa sentire il sangue impoverirsi, significa sognare un paradiso dell’anemia e udire, nelle vene, scorrere di lacrime…
E. M. Cioran
Nello stesso passo lo scrittore-filosofo rumeno definisce la gioia un sentimento “non poetico” abbandonando così ogni forma possibile di positività nel lavoro di un poeta; un romanticismo un po’ decadente, un po’ attardato. Ma qui non si parla di secche definizioni, Cioran snocciola delle delucidazioni e riesce a deflorare il vergine campo dell’estetica poetica moderna del genio e della banalità. La poesia è l’espressione di ciò che non si riesce a possedere, di ciò che si anela e con meditabonda pesantezza non si avrà nè vedrà nel reale; ma questa è malattia non umana, è malattia propria dei mastri scrittori (poeti per la precisione) e dunque riguarda solo ed esclusivamente una incapacità non del mondo umano ma del mondo cerebrale del creativo, deficienza che ha poi l’abitudine, il vezzo ed il dovere di riversarsi poi nelle loro oscure vite.
Nella costruzione cantata dunque la “speranza” è elemento di disagio, nauseante, poiché fasullo, poiché ipocrita, superfluo; patetico inghippo evidentemente manieristico e tanto amato dal lettore mediocre e borghese, e similcristiano (queste ultime sono mie ma aggiunte molto sentite).
Emil M. Cioran Răşinari, Romania, 8 aprile 1911 – Parigi, Francia, 21 giugno 1995.
“Il poeta sarebbe un odioso disertore del reale se nella sua fuga non portasse con sé la sua infelicità”.