Vi sono cose che per se stesse non sono causa di alcuna sofferenza, ma fanno soffrire come segni. Segni di che cosa? Di uno stato di cose che, per se stesso, fa soffrire solo raramente (o mai?), essendo di per sé troppo astratto per costituire una sventura. Ma i suoi segni, benché per se stessi non dolorosi, fanno soffrire.
Così, la disfatta (cfr. Feullets di Gide) e la vista di un soldato tedesco in uniforme.
Così la carta di identità alla Renault.
Se tali segni sono frequenti tutti i giorni, vi è sventura.
Altre cose sono per se stesse causa di sofferenza. Sofferenze fisiche, in questo caso. Umiliazione (è una sofferenza fisica).
Altre ancora ad un tempo per se stesse e come segni (umiliazione). Sono le più penose.
Problema: la disfatta, non avvertita come sofferenza in certi momenti (bella giornata, bel paesaggio).
Un uomo in uniforme grigio-verde non è causa d sofferenza (per es. prima delle ostilità, addetti militari…).
Dopo la disfatta: basta che un soldato tedesco compaia nel paesaggio e la sofferenza nasce.
Dolore nato dal legame (da segno a significato) tra due cose non dolorose al di fuori di questo legame.
Ora questo dolore è sentito fisicamente (può arrivare fino alle lacrime).
Lo stesso vale per la gioia? Estetica, feste…? Gli ornamenti di una festa per esempio.
Simone Weil (da “Quaderno II”)
Filosofa mistica, poetica, attivista… nel pensiero ma nella sua breve vita soprattutto possiamo inquadrare il vero essere di questa straordinaria figura vissuta proprio negli anni delle Grandi Guerre, vissute inoltre da ebrea; agiata e colta.
La morte la coglie nel ’43, vecchia di soli 34 anni la Weil s’era imposta ogni sorta di limitazioni, la sua vita è costellata di scelte coraggiose e di rinunce economiche e sociali sperimentando sempre il punto di vista degli oppressi, disagiato e ben poco benefico, morirà proprio a causa di una tubercolosi che contrasse ed aggravò svolgendo mansioni manovali (per mesi lavorò alla Renault come operaia metallurgica).
Il weilpensiero si staglia totalmente sciolto da ogni studio di sorta, un osservatrice, un antropologa quasi, un etnografa che con la sua osservazione partecipante estrapolò i moti dominanti e geniali della condizione europea del tempo, quelle fasi di terrore nel solo incontrarsi con uomini in determinate vesti e colori, lo sradicamento coatto di ogni dignità sociale, culturale, animale. E’ lo spago stesso che tiene uniti elementi innocui ad elementi innocui a provocare il dolore…dolore di un mutamento di significazione, dolore della morsa assurdamente rigirata su simboli tanto umani.
Che possa un giorno esser così per tante altre cose…per tanti altri elementi tanto riconoscibili…? … che sia questo che la grande Simone Weil m’ha posto innanzi, e forse chiusa in quella piccola vita tanto soffocante, senza quasi volerlo…
“faccio presto, davvero,
faccio presto per non tentare me stesso,
non risolvo, risorgo e rassegno
ogni genere di appunto, lo sottraggo
ai bordi di taccuini ingialliti
e profumati di colonie
francesi e paglierine”