La destra era una buona mano, allenata e sensibile: gli era rimasta davvero attaccata, proprio il caso di dirlo, anche dopo lo schianto.
Quando ti tiri sul muso di uno spartitraffico a duebarratrecento chilometri all’ora hai soltanto una cosa da fare: il vuoto. Voglio dire, muori oppure muori, no?
Ecco. Lui no.
Restare con una mano sola per un incidente che doveva ucciderti è una sensazione singolare: sulle prime non ti importa, è quasi un dettaglio rispetto alla grande fortuna che riconosci di aver avuto. Poi la vita si prende la sua parte un po’ per volta, si fa avanti e si dimentica il dolore.
Così Palermo (per i colleghi) un giorno s’è guardato il mozzicone quasi per caso, e gli è scappata una bestemmia: una di quelle robe forti che non fanno male a sentirsi, sono tuoni bonari di angeli disabituati alla volgarità.
Non è blasfemia, è dialogo.
“Cosa ti lamenti, che eri lì morto,” gli fanno sapere di continuo al Comando. Ma chi se ne frega, adesso sono vivo e faccio il monco per grazia ricevuta: a me la sinistra faceva comodo, anche solo per impugnare il ferro.
Sempre poco tatto i colleghi: Quando Palermo tornò a sparare al poligono gli fecero un applauso, e lui “beati voi che potete”. Poi tornò a sparare, malissimo, e poi sempre meglio fino a fare i vecchi punteggi importanti che aveva sul taccuino settimanale.
“Di questo passo sparerai anche senza mani!”, e lui “e che cazzo, spero di no!”.
Altra gaffe. Però la vita quanto è bella. Ormai solo la notte Palermo ricorda di non avere la mano: si ferma in un punto del buio con lo sguardo, a luci chiuse e a letto fermo. Inchioda la vista nel vuoto come se stesse aspettando l’inizio di un film, poi in silenzio solleva il braccio incompiuto e si concentra.
Si, a volte immagina di averla ancora, quella maledetta storia di cinque dita: solo un pò più in là, lanciata per aria da qualche parte come quelle dei robottoni che guardava da bambino, capaci di lanciare i pugni da lontano e poi di riprenderli.
Chissà dove è finita la sua: tra lei e il braccio passa troppa intercapedine, e il vento ha la pietà leggera di un velo, mentre l’occhio si preme da solo come un mezzo limone, e tira una goccia amara che scende lungo la guancia: il braccio scende lentamente, la notte non si rimette in moto.
Poi la vita riparte suonando le sue trombe del giudizio:
I trilli della sveglia.