Moravia è stato un uomo del Novecento.
L’ha vissuto quasi nella sua interezza: nato sette anni prima della Grande Guerra, è morto dopo la caduta del Muro di Berlino, nel ’90. È stato, senza dubbio, una delle grandi personalità della letteratura italiana.
Ha scritto tanto durante la sua linga vita. E la più grande opera, quella che l’avrebbe reso un simbolo, viene concepita in giovane età. Ebbene sì: l’esordio letterario di Alberto Moravia avviene con Gli indifferenti, il romanzo capolavoro. La pubblicazione reca la data del 1929. L’autore ha appena 22 anni.
Sembra quasi impossibile pensare ad un parallelismo tra l’età dello scrittore e la maturità, stilistica nonchè contenutistica, che traspare dalla lettura del romanzo.
Volevo scrivere un lungo racconto che avesse una struttura teatrale con unità di tempo, di luogo e con pochissimi personaggi. La mia ambizione era di scrivere una tragedia, invece ne venne fuori un romanzo
Sono parole che escono dalla bocca di Moravia una trentina d’anni dopo l’uscita dell’opera. Il giovane talento pensava infatti alla tragedia come la forma più alta della letteratura. Ne esce fuori un romanzo certamente molto “teatrale”: sedici capitoli nei quali azione, tempo e luogo sono estremamente ristretti. Pochi i personaggi (cinque). Ma di tragico, il romanzo, ha volutamente ben poco. Siamo agli antipodi di quei valori assoluti che, nel bene o nel male, sono la marca distintiva delllo stile tragico. Di fatto, l’opera è una tragedia impossibile, e il titolo è quanto mai esemplificativo. Si riferisce ai personaggi, ma si sostanzia come una condizione esistenziale: “indifferenti” sono le persone e i valori che portano avanti, e indifferente è l’atteggiamento dell’uomo borghese nei confronti della realtà torbida e volgare che lo circonda.
Non dimentichiamo il contesto. Siamo nel ’29, in Italia è già forte il regime fascista, e la classe borghese la sua spalla ideale. Quello che Moravia tratteggia, dunque, è un mondo della borghesia romana assolutamente arida e incapace non già di reagire, ma di provare sentimenti forti. Ed anche se non sussiste, nell’intenzione, una carica polemica antiborghese, essa di fatto si palesa, spingendosi fino a metterne in discussione la sua stessa legittimazione sociale.
Una vera e propria trama strutturata non esiste. Il romanzo si addentra nell’anima borghese seguendo da vicino le vicende del rapporto tra Mariagrazia, vedova, e Leo, un arrivista che arriva a sedurre la figlia della prima, Carla. L’altro figlio, Michele, disgustato dalla situazione, prova ad uccidere Leo, ma dimentica di caricare la pistola; e diventa, infine, amante di Lisa, vecchia fiamma di Leo.
Ma le figure umane sembrano prive di vita, muovendosi sulla scena come burattini. Gli indifferenti è uno dei più grandiosi quadri della classe borghese nella prima metà del ‘900: Moravia ne delinea con rara precisione le vigliaccherie, le debolezze, l’innata accidia.
E sul solco tracciato da Svevo e Pirandello, consegna alla storia della letteratura la cronaca artistica dell’impotenza di un’epoca.