Mettiamo subito le carte in tavola: questa rubrica non sarà sempre un grido di battaglia. Perché il vaffanculo è liberatorio, ma a volte significa anche “sono felice, finalmente”.
Mi provocano bruciore ed acidità di stomaco quelli pieni di sé, che non riescono a mettere da parte neppure per un secondo la boria e la spocchiosità e a fare un discorso a tutto campo. Quelli che prima di leggere un articolo vanno a vedere chi l’ha scritto, distorcendo la comprensione del testo con pregiudizi ed antipatie personali. Quelli che commentano senza cognizione di causa. Gli stupidi che si credono intelligenti. Quelli che non sanno neppure dove sta di casa la follia. Quelli che non capiscono che preservare un posto di lavoro vuol dire preservare la dignità della persona, poco importa se si tratti di lavorare per una fabbrica di calze, per un giornale che sta per chiudere o per una pizzeria.
Quelli che “a Napoli buttano sempre fango addosso” e che stanno là a giustificarsi di essere napoletani come se si trattasse di vivere nel Terzo Mondo e non al centro della Terra. Quelli di “non sono d’accordo con te” quando tu semplicemente descrivi ciò che hai visto.
Cioè, dico, c’eri? No? E allora taci.
Quelli che tornano a leggere i commenti perché sono vanagloriosi. Quelli che “non c’ho tempo” e poi li vedi cazzeggiare tutto il giorno. Quelli che la solidarietà è tutto, basta che non mi costringi ad alzare il sedere dalla sedia davanti al pc. Mi danno gioia, invece, e sano prurito, quelli che ancora sono curiosi, per nulla superficiali, che riescono a guardare oltre il proprio naso, che sanno dire “mi dispiace”, “ho sbagliato”, “scusa”. Gli affamati e i folli, quelli che si perdono nei colori di un tramonto, e trovano il mondo in una birra tra amici e nell’abbraccio di un bambino. Quelli che ancora si accorgono di chi hanno accanto.
Ecco, questo risveglia il Fuoco di Puglia. E vaffanculo.