Gli ho passato l’indice nell’incavo dietro l’orecchio, ho leccato lo spazio tra il suo naso ed il punto dove il labbro superiore s’inarca, senza fretta. Con il naso poi, mi sono insinuato nel palmo della sua mano, con la fronte ho accarezzato i suoi polsi, con le labbra gli ho sfiorato piano gli avambracci, senza fretta. Ho preso tra i denti i suoi capelli biondi e sottili, ho succhiato le sue ginocchia e l’ho guardato, nella penombra della nostra stanza triste, senza fretta. Il sesso è meccanica, non c’è niente di originale, la prima volta è solo una di tante, mai la migliore. Gli orgasmi si assomigliano tutti, sono i profumi e gli sguardi, i corpi ed il modo in cui s’incastrano, sono i minuti successivi alla fine dell’amplesso, ad essere differenti. Ed è per questo che ho assaporato ogni pezzo del suo corpo, ogni centimetro. Altre persone possono possedere la sua carne, nessuno come l’ho fatto io.
La luce filtra appena tra le persiane, un raggio presuntuoso però ci investe. Non mi sono mai piaciuti i capelli chiari, devo ammettere però che i fili dorati che ora mi solleticano una guancia, hanno qualcosa di vicino al paradiso. Tendine sull’immensità, non posso discostarle o si sveglierà e sarà ora di andare. Ha il respiro affannato, non è un sonno tranquillo il suo, il peccato arretra all’insorgere del dormiveglia, per poi ricomparire violento quando non possiedi più il controllo dei tuoi pensieri. Sente la colpa fin sotto la pelle questo lo capisco, lo so, lo provo anch’io. Non ho i vincoli della fede però, quel marchio d’infamia ignominioso che il regno dei cieli parrebbe affibbiargli, che lo tormenta come se già avesse raggiunto il luogo della dannazione eterna. Misericordiosamente io la fede non ce l’ho, forse è questa la mia salvezza.
Mi tocca le dita, il sonno è finito, noi però non parliamo altrimenti sarà ora di rivestirci e lasciare questa stanza di motel. Il comodino lercio, le lenzuola grigie, il portiere guercio, il copriletto forse mai lavato, la moquette verdognola, il copriwater rotto, la tendina di plastica della doccia con i fori per gli anelli consunti, tutto questo è il mio eden. Il deodorante spray, per profumare di fresco ambienti luridi, mi rimarrà tra i capelli inebriandomi di felicità per ore e, quando sarà scomparso, tornerà l’abisso. Una miscela chimica che riproduce il pino silvestre ha per me lo stesso odore dell’ambrosia, quando il tempo me la sottrae, mi ritrovo sul precipizio dei giorni che mi separano dal prossimo incontro. Dal sesso sempre uguale, dagli sguardi sempre unici.
Si abbottona male la camicia, come sempre, io gliela sistemo, senza fretta. Gli ricompongo i capelli, stiro con le mani le grinze della sua giacca, gli sistemo la piega dei pantaloni, senza fretta. Lo bacio sulle labbra piano, lo accarezzo sui gomiti, gli bacio le orecchie, gli lecco le palpebre, lo stringo sul petto, senza fretta. Le riunioni in ufficio saranno finite da un pezzo, una nuova bugia sostituirà egregiamente quella vecchia. Nessuno vuol conoscere davvero la nostra verità e dunque nessuno indagherà, paghi tutti delle menzogne così poco costruite che basterebbe un nulla per svelarle. Quel nulla non vuole toglierlo nessuno, quindi io gli passo la cartellina di pelle lucida, mentre con lo sguardo cerco i pantaloni ed imprimo tutto il sudiciume che mi riesce sulla retina e nel cervello. Leccherei tutto lo sporco, il marcio, il putridume di questo posto se sapessi di avere così dentro un pezzo di lui. Mi limito a rivestirmi, senza fretta. Siamo pronti tutti e due, ci sediamo sul letto, senza dire una sola parola, solo una lacrima mi scende, una sola, e lui la prende sulla punta della lingua, la beve, sono io ora ad essere dentro di lui, acqua e sale, senza fretta.
Il sesso è meccanica, il sesso è sempre uguale, siamo noi a fare la differenza.
Torna da sua moglie, io dalla mia, senza fretta.