Le opere di Platone sono il lascito intellettuale più importante che la filosofia antica ci abbia preservato. Il loro straordinario spessore teorico, la loro ineguagliabile bellezza letteraria, la molteplicità di spunti cui esse diedero vita durante tutta la storia del pensiero umano, fanno di Platone, probabilmente, uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. Tra le opere più importanti di Platone la Repubblica può essere considerata la summa filosofia del suo pensiero, nella quale vengono esposti chiaramente la sua visione di Politica, Giustizia e Società.
In una splendida giornata Socrate, durante la festa delle Bendidie – festa in onore dell’antica dea tracia Bendis, incontra Cefalo. Interrogato sulla ricchezza da Socrate, Cefalo risponde che la ricchezza altro non è che una condizione in cui ogni uomo non commette alcuna ingiustizia. In quel momento il discorso verte sulla questione fondamentale: la domanda socratica per eccellenza, cosa sia in realtà la Giustizia. Di rimando al concetto di ricchezza poc’anzi espresso, Cefalo identifica la Giustizia come il non appropriarsi delle cose altrui. A quel punto del dialogo interviene Trasimaco, il sofista. Per costui la Giustizia è “l’utile di chi è più forte!”. La critica socratica verte verso l’analogia che esiste tra la competenza tecnica e la gestione del potere. Entrambe sono da interpretare come forme di servizio che ognuno pratica per il bene della società. Quindi, ad una concezione individualistica di Trasimaco si contrappone quella collettiva di Socrate.
Il secondo libro de la Repubblica si apre con la famosa classificazione dei beni secondo Glaucone: quelli che desideriamo per se stessi, cioè solo per il piacere di provarli e trarne godimento; quelli che amiamo sia per se stessi, sia per le loro conseguenze, come la salute, l’intelligenza, la vista; e quelli che amiamo solo per le loro conseguenze ma non per se stessi, in quanto difficili da perseguire come la ginnastica o la medicina. La Giustizia, secondo Adimanto, è una cosa di per se straordinaria ma difficile da raggiungere, mentre l’ingiustizia è dolce, facile e anche vantaggiosa. L’intero discorso di Adimanto è strutturato da poter provocare la confutazione socratica. Tale confutazione dovrà avere come oggetto solo la Giustizia in sé: ne come essa sembra, ne come la gente dicono di crederla; non appoggiandosi sulle teorie dei politici o dei mercanti, non su strambe idee dei poeti o degli indovini; non quello che costoro non dicono per paura; non ciò che prescrive la legge o la morale; non ciò che si tramanda come vero, ma solo ciò che veramente si pone come tale. Quindi l’operazione di Platone dovrà risultare un ambizioso e straordinario progetto di oggettivazione vera, contrapponendosi all’insieme polimorfo delle credenze, delle sembianze, delle apparenze, e andando contro tutta quella natura umana dell’opinabile sulla quale nulla si potrà costruire, ne scienza, ne politica, ne morale. In ultima istanza, il suo tentativo risulta essere per l’epoca senza alcun precedente, il primo in assoluto nella storia del pensiero e delle civiltà, ponendosi come il fondatore dell’Etica come scienza di ogni Morale.
Se si cerca la Giustiziain sé e non le sue apparenze allora bisogna allargare il campo delle nostre indagini, e possiamo farlo solo superando il nostro punto di vista soggettivo, singolare, individualistico e utilitaristico, e mirare non solo al cittadino ma ai cittadini: non più uomo ma uomini, non più il singolo ma città. Nasce quindi il metodo e la critica platonica della polis, cioè quella che noi tutti conosciamo, e che abbiamo tramandato nel corso dei millenni. E applicare la Giustizia in questa città sarà come trovare la giustizia per l’anima: nell’anima, come in una città, ci sono parti che compiono ciò che sono predisposte per natura, e se l’amalgama trova il giusto equilibrio sarà breve la strada che porta alla Giustizia.
Il ruolo fondamentale in questa ipotetica città spetterebbe quindi al philòsophos, cioè colui che giudica i piaceri degli altri assai lontani dal “piacere di conoscere il vero così come esso è”. Per spiegare la natura dei filosofi Platone parla dell’eros: la natura filosofica è una natura erotica, e l’eros è la guida della filosofia. La forza dell’eros trasforma il modo umano di desiderare e lo rende filosofico: eros è “l’inesauribile desiderio di sapere”. Il filosofo, uomo erotico per eccellenza, non si affeziona come un servo alla bellezza di un solo oggetto della sua speculazione filosofica, di un unico ragazzo o ragazza, di un unico amore, ma si rivolge a tutto ciò che vede ed incontra, fino al giorno in cui gli accadrà di scorgere “la bellezza in sé”. Cioè quel momento della vita – provando piacere nel pensare e non nel vivere – che “più di ogni altro e degno di essere vissuto”. La natura filosofica di un uomo è una natura divina. Un uomo che ha natura filosofica non prova alcun dolore nell’abbandonare famiglia, patrimonio, proprietà. Ed ecco perché solo ad un uomo siffatto si permetterà di governare sugli altri nella città giusta.