Nel settembre del 1983 la casa editrice Knopf pubblica una raccolta di racconti di Raymond Carver dal titolo “Cattedrale”.
Lo scrittore Jay McInerney così commenta: “Moltissime persone scoprirono Carver attraverso lavori della maturità come Cattedrale… …il finale tipico di un racconto di Carver ti lascia sull’orlo di un abisso e tu ci guardi dentro. In Cattedrale è piuttosto come se tu guardassi verso il cielo e sta spuntando il sole”.
Jai McInerney, che conosceva bene Carver, guarda al complesso dell’opera di Carver. Il “vecchio stile”, quello a cui si riferisce, riguarda le due precedenti pubblicazioni, e in particolare “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore” del 1981 (Knopf) e “Vuoi star zitta, per favore?” del 1976 (McGraw-Hill).
Queste due pubblicazioni erano state curate dalla stessa persona: Gordon Lish.
Carver e Lish si conoscevano da tempo. Nel giugno del 1971 la rivista “Esquire”, il cui editor è ancora Gordon Lish, pubblica il racconto di Carver “I vicini”.
Carver muore nel 1988 e il suo stile, asciutto, stringato, imperfetto, si trasforma in modello letterario da studiare e, se possibile, da imitare. In Italia è pubblicato da Mondadori, Minimum Fax e infine da Einaudi. Non c’è laboratorio di scrittura che non gli dedica un seminario. Sul quaderno della rivista Panta sulla scrittura creativa (curato da Laura Lepri) è riportata integralmente una lezione di Tiziano Scarpa dal titolo “Alla fonte dell’ispirazione, lettura di un racconto di Raymond Carver”. La data è il 1997.
Nel 1999 sul “New York Times” esce un articolo un po’ strano in cui si afferma che i racconti di Carver sono stati “riscritti” da Gordon Lish. La notizia non fece tanto scalpore allora, sarà il solito giornalista alla ricerca di scoop, si pensò. Ma Alessandro Baricco non si accontentò. Era stato lui a fondare nel 1994 la “Scuola Holden” e lì il fantasma di Carver era di casa. Si reca a Bloomington, piccola cittadina universitaria, dove nella biblioteca “Lilly Library” c’è il fondo Gordon Lish liberamente aperto al pubblico. Ha consultato e verificato. Sì, il Times aveva ragione. Gordon Lish, lavorando alla raccolta “Di cosa parliamo quando parliamo d’amore”, quella pubblicata nel 1981, aveva tagliato quasi il 50% del testo originale e cambiato il finale di 10 racconti su 13. Nel 1999 esce sulla Repubblica un articolo di Baricco a conferma che le voci che circolavano non erano infondate.
A questo punto devo fare alcune precisazioni per i non addetti ai lavori. L’editor è una figura professionale che dai paesi anglosassoni è approdata nel resto del mondo e non deve essere confuso con il termine “editore” che sempre nei paese anglosassoni è il “publisher”. “Editor” in italiano può essere tradotto con “curatore editoriale”. L’editor ha il compito di rivedere la parte testuale di un libro, apportandovi le dovute correzioni, e in questo caso si dice che fa “editing” sul testo.
(Per maggiori informazioni rimando alla mia ottava lezione di redazione editoriale su editor ed editing all’indirizzo www.apostrophecafe.com/lezioni/redazione-editoriale.html, in cui pubblico anche un racconto di Carver “Di’ alle donne che usciamo” nella versione rivista da Lish e in quella originale).
Da mito Raymond Carver si trasforma in “caso letterario” e circolano domande del tipo “ma chi era veramente Carver?”, “scrittore o impostore?”, “e allora che diritto aveva Lish di stravolgere il testo?”.
Ci si interrogava su questo, però, su una base molto fragile dal momento che si sapeva poco di Carver e altrettanto della cultura ed editoria americana.
S’ignorava che “Terra Desolata” di T. S. Eliot aveva subito un editing radicale da parte di Ezra Pound, sebbene Pound fosse un poeta e non un editor di professione, che F. Scott Fitzgerald fece l’editing a “Fiesta” di Hemingway, tagliandogli il primo capitolo, che entrambi si avvalsero poi della consulenza di Maxwell Perkins, editor della casa editrice Scribner presso la quale pubblicavano, che lo stesso Perkins fu anche l’editor di Thomas Wolfe e che da un unico manoscritto di questi tirò fuori cinque libri, che J. D. Salinger riconobbe pubblicamente il suo debito nei confronti della consulenza editoriale di William Shawn, editor del “New Yorker”. Insomma s’ignorava che gli editor in America avevano e hanno un ruolo di primo piano e a questo mondo apparteneva anche Lish.
Perché allora fare di Raymond Carver un “caso” e di Gordon Lish un mostro dell’editoria? Questo forse sarebbe stato l’interrogativo giusto da porsi. In Italia qualcuno (adesso non ricordo chi) a proposito degli interventi di Lish parlò addirittura di “stupro letterario”.
La storia probabilmente è più semplice di quanto allora s’immaginò.
Lish intravide in Carver una possibilità e la sfruttò. Lui voleva farne uno scrittore di impronta “minimalista” e, almeno, in questo ci riuscì perfettamente. Raymond Carver è stato considerato per decenni il maggior scrittore “minimalista” di racconti brevi. Ma a Carver non andava giù il fatto di essere rinchiuso in un’etichetta. La sua ambizione era di far parte di una tradizione. Per tutta la vita ricordò il suo primo insegnante di scrittura creativa, John Gardner, che gli aveva messo tra le mani i grandi della letteratura: Conrad, Céline, Babel, Cechov, e altri. A questa tradizione lui si sentiva affine. Il nuovo stile di Carver, quello di cui parla McInerney, nasce da questa esigenza.
Solo nel 2009 la casa editrice Einaudi ha iniziato a ripubblicare i racconti di Carver, così come egli li aveva consegnati a Lish e prima della loro modifica.
Ma una domanda si pone ed esige una risposta. Qual è il limite che un editor non deve superare?
La risposta la dette nel 1987 Grazia Cherchi (editor italiana di grande spessore) in un articolo apparso su Panorama dal titolo “Editing, chi era costui?”.
“…l’editing è un lavoro che richiede una forte dose di masochismo. Bisogna, infatti, tuffarsi nell’altrui personalità (anche stilistica) abdicando alla propria… Questi collaboratori dello scrittore (gli editor) non sono coautori, ma sono dei lettori competenti e fidati al servizio di chi scrive e non degli editori (anche se sono questi ultimi a sborsare di malavoglia il pecunio…)”
Il peccato veniale di Lish sta proprio nell’essere entrato nella zona proibita, in quella zona cioé dove le idee si trasformano in forma letteraria e nell’averle stravolte.
Ma è altrettanto vero che Carver non sarebbe un grande della letteratura se non fosse passato attraverso la “lezione” di Gordon Lish.
(Per approfondimenti su Grazia Cherchi si veda il mio omaggio a Grazia Cherchi al link http://apostrophecafe.com/recensioni.html, dove ho riportato per intero l’articolo “Editing, chi era costui”.
L’articolo di Alessandro Baricco si può leggere al link http://www.oceanomare.com/ipsescripsit/articoli_letteratura/carver.htm)