Era una notte buia e tempestosa… Inizia così l’avventura di un re coraggioso e del suo incontro con un non-morto amante degli enigmi. Ma procediamo con calma, perché nell’intrico di queste leggende rischiamo di smarrirci.
Il Kathā-saritsāgara (L’Oceano dei fiumi dei racconti) è una vasta raccolta di racconti indiani trascritta in sanscrito da Somadeva nell’XI secolo per compiacere la regina del Kashmir. Isabel Burton, nella prefazione alla traduzione (molto) liberamente eseguita dal marito, Richard F. Burton (Vikram and the Vampire. Or Tales of Hindu Devilry, 1870), afferma che quest’opera immensa sia alla base della più celebre raccolta de Le Mille e Una notte, in una parabola acrobatica che va dal sanscrito al persiano fino al siriaco e all’arabo. Come ne Le Mille e Una notte, in una cornice principale confluiscono un gran numero di storie secondarie, a loro volta cornici racchiudenti altre storie, in una sorta di complessa spirale.
Uno dei più famosi tra gli “affluenti” di quest’Oceano narrativo, forse proprio grazie alla fantasiosa “interpretazione” di Burton, è il Vetāla Panchavimshati, tradotto poi con maggior precisione nel 1963 da Louis Renou con il titolo I Racconti del vampiro.
In realtà il vetāla non è un vampiro, o almeno non corrisponde alle creature descritte nel folklore europeo: infatti non è un succhiatore di sangue, ma uno spirito che si impossessa di un cadavere che non ha ricevuto esequie rituali. Se proprio si volesse trovare una similitudine con un essere fantastico delle leggende occidentali, questa entità potrebbe essere uno zombie. In genere maligno e pericoloso, il vetāla può tuttavia prendere le parti di un uomo che egli ritenga probo e diventarne servitore fedele.
La trama-pretesto per incastonare le storie de I Racconti del vampiro in un tessuto coerente ci narra del re Vikramā, cui un mendicante chiede uno strano favore: portargli il cadavere di un impiccato che si trova nel cimitero, ancora appeso ad un albero. Questo cadavere però è posseduto da un vampiro e, mentre il re tenta di trascinarlo via, prende a raccontargli storie ad enigmi. Il re è costretto a rispondere da una maledizione, ma ogni volta che lo fa il cadavere riappare magicamente sull’albero, costringendo il re a tornare indietro.
Si scoprirà poi che il vampiro in realtà vuole salvare Vikramā dal mendicante, stregone intenzionato ad offrire il re in sacrificio per poi sottomettere lo stesso vampiro al suo potere. Nell’ultimo racconto, quando finalmente il re non saprà rispondere al quesito posto dal vetāla, questi si lascerà condurre fino allo stregone-mendicante, rivelando al re il modo per sconfiggerlo.
Come Dante negli Inferi, il re vaga nell’oscurità alla faticosa ricerca della luce e della verità, portando un fardello che è il suo solo compagno e la sua sola guida. Tuttavia il cadavere, ossia la verità, si allontana ogni volta ed ogni volta la ricerca ricomincia. Al termine dei racconti, che costituiscono un vero percorso iniziatico, il vampiro diventa dio, vale a dire ente positivo e potente, ed il re Vikramā raggiunge la saggezza, ascoltando la parte oscura che porta in sé ed accettando il cambiamento come crescita.
In un’atmosfera lugubre e inquietante si susseguono incastrandosi venticinque enigmi le cui soluzioni propongono una morale strana, a volte in contrasto con la nostra, aprendoci la porta ad un altro modo di pensare, destabilizzante ed affascinante insieme.
Seguiremo nella notte buia il nostro coraggioso re Vikramā nella mia traduzione del racconto Come il bramino perse la moglie e poi la vita. Amore, disperazione, morte ed infine un enigma: di chi la colpa?