Pubblicato nel 1959, La mia Europa è da considerarsi l’opera più ambiziosa di Czeslaw Milosz, poeta, saggista, divulgatore ed intellettuale autorevole, premio Nobel per la Letteratura nel 1980.
Ripercorrendo la propria biografia umana e intellettuale, Milosz intende fornire al mondo occidentale una chiave di lettura della complessa realtà storico culturale della Polonia, suo paese natale, e dell’Europa centro – orientale. Sembrerebbe azzardato affermare che fra i tanti libri dello scrittore polacco questo sia il migliore, ma per noi lettori occidentali si rivela come un testo di fondamentale importanza.
L’opera è una vera e propria guida per quei territori dell’antica “Res publica” polacco – lituana che si estendeva un tempo dal Baltico al Mar Nero, e di cui l’Occidente sembra aver perso la totale memoria subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’esperienza individuale del poeta è solo un filtro attraverso cui vengono descritte le vicende di terre e popoli rifiutati dalla Geografia e dalla Storia in un vortice di eventi che hanno prima accerchiato e poi macellato, con brutale e capillare violenza, popolazioni intere, estirpandoli dalle loro terre e macchiandoli di sangue, al punto che anche il narratore potrebbe faticare nel credere a tutto ciò e ridare una certa concretezza agli eventi, ricomporre in modo unitario i frammenti della catastrofe, come petali purpurei di un fiore sradicato.
Ma la sua bellezza sta proprio nel raccogliere le mille particolarità di frontiere, lingue, costumi, spazi d’identità e coscienze individuali e collettive formati in una caleidoscopica convivenza, dentro e fuori uno spazio ultra secolare. Un’opera enciclopedica ideata per affrontare innumerevoli piani conoscitivi, dove il contrasto tra storia individuale – Milosz come cittadino nel Mondo – e la storia dei popoli – Milosz come cittadino del Mondo – si amalgama, si condensa e si interseca, e nella quale emerge una storia complessa e stratificata, ridando volto, nome e dignità ad una realtà che oggi si ripresenta geograficamente in modo completamente nuovo. Quindi, ripercorrendo con l’autore questo cammino con le sue esperienze, si ha quasi la sensazione di acquistare in modo lucido e acuto un sapere di cui prima non avevamo alcuna cognizione, o per lo meno pallide manifestazioni di essa.
Milosz narra la sua vita fin dall’infanzia nella casa dei nonni materni, le genealogie familiari nate ed evolute durante la complessa storia di quelle terre, la sua prima adolescenza e l’affetto del padre ingegnere ferroviario, il primo contatto – ancora bambino – con la Russia prima e durante la Rivoluzione, poi gli anni dell’apprendistato letterario, i primi conflitti psicologici e ideologici sullo sfondo di contrasti etnici e politici, la bellezza fumogena di Praga e quella variopinta di Parigi, l’Occidente visto durante il primo viaggio del 1931 e del secondo datato 1934-35, la guerra, l’occupazione sovietica – teatro di eventi tragici e indelebili, fino alla cupa realtà del regime stalinista e dei suoi veleni ideologici e morali, l’esperienza americana e l’esilio dettato più da un imperativo etico che politico.
In questa caotica conclave di straordinari avvenimenti storici, ma anche efferate violenze, prendono vita quelle che vengono definite le “Indie d’Europa” : polacchi, ebrei, lituani e bielorussi, tutto il microcosmo di etnie e culture incapaci di risolvere tremende conflittualità. Emergono in principal modo i nodi centrali – religiosi, razziali ed ideologici – che minavano l’esistenza polacca durante il ventennio fra le due guerre e tutto l’effimero equilibrio dell’Europa centro – orientale. Cattolicesimo e nazionalismo polacco, la Polonia filo – russa, l’antisemitismo, il nazismo e il marxismo, il regime sovietico del dopo guerra: sono soltanto alcuni dei nodi che l’autore ha sciolto in quest’opera grandiosa.
Nate col chiaro intento di spiegare agli occidentali la realtà di queste patrie nebulose dell’Europa centro – orientale, le pagine di Milosz raggiungono un obbiettivo fondamentale, cioè forniscono a tutta la cultura occidentale un prezioso strumento per rivalutare quella parte d’Europa le cui vicende politiche e belliche volevano a tutti i costi espropriare, facendola apparire come diversa, estranea rispetto ad essa.
Alla fine, così come lo scrittore dopo il suo tormentato itinerario, dobbiamo riconoscere che da quel grande mosaico di cultura qual è la storia d’Europa non può esservi alcuna sottrazione di parti, nessuna frattura etnica, geografica, ideologica, senza che questo equilibrio risulti alla fine snaturato e deturpato. In ultima istanza, poco umano.
Dimenticate ogni revival del mito americano perché – citando Baudelaire – altro non è che assecondare << il figlio abortito de’Europa >>. Perché l’Europa di Milosz è anche la nostra.