Chi lo dice che la magia non esiste? Non vi è mai capitato, passeggiando per strada, di notare uno stabile mancante nella numerazione della via, che passa inspiegabilmente dall’undici al tredici, saltando il dodici a piè pari? Non vi è mai capitato di smarrire misteriosamente un oggetto, magari una chiave, e di ritrovarlo, dopo aver a lungo cercato, esattamente nel posto in cui sarebbe dovuto essere e in cui potreste giurare di aver guardato attentamente perlomeno dieci volte? Non vi è mai capitato di sentirvi invasi da un’ondata di freddo gelido in piena estate, e di pensare in quel momento di non riuscire mai più ad essere felici? Ebbene, se la risposta è sì, allora l’illogica conclusione può essere solo questa: che la magia esiste, e si presenta a noi umili Babbani nelle forme più disparate e impensate possibili.
A quasi quindici anni di distanza dall’uscita di Harry Potter e la Pietra Filosofale, primo capitolo della saga firmata J.K. Rowling, le vicende del maghetto inglese continuano ad appassionare milioni di lettori, giovani e meno giovani, delineando sull’orizzonte letterario contemporaneo il profilo di un nuovo, intramontabile classico. La ragione è molto semplice, quasi banale: tutti nella vita abbiamo bisogno di credere che esista almeno un po’ di magia. J.K. Rowling lo sa, e nella magia non ha mai smesso di credere: da quando, ragazzina, inventava favole per divertire la sorella minore, a oggi, che è la donna più ricca di Inghilterra, perfino più ricca della Regina, Joanne non ha mai dimenticato che cosa significa essere bambini. Proprio in questa spontaneità velata di innocenza risiede l’estremo potenziale della sua favola moderna: una storia che appassiona non soltanto perché architettata in maniera geniale secondo la logica dei gialli a incastro, in cui il lettore è attivamente coinvolto in un percorso che progressivamente conduce i protagonisti, indizio dopo indizio, alla scoperta della verità, ma anche e soprattutto perché, leggendola, ci si ritrova catapultati in un mondo fantastico che, se da un lato non esiste, d’altra parte conserva un rapporto di costante osmosi con la realtà quotidiana, da cui trae perennemente spunto e di cui si sostanzia, e che risveglia nel lettore quel contatto emotivo troppo spesso sopito con parti sepolte della propria identità. L’amore e l’amicizia, il coraggio e il sacrificio: valori semplici, che appartengono a ognuno di noi, ma che la tartassante routine quotidiana finisce per ammorbare. Che da adulti finiamo per dimenticare. Ma i bambini no: J.K. Rowling ci ricorda che loro sono molto più saggi di noi, molto meno esposti a ridondanti questioni sulla natura del bene e del male, molto meno inclini a farsi domande a cui non è possibile trovare risposte univoche. La sua è una storia dedicata ai bambini, ma anche a quegli adulti che non hanno perso di vista le parti infantili di sé: grazie alla capacità dell’autrice di far crescere narrazione e protagonisti della saga insieme al lettore, Harry Potter insegna ai bambini come diventare adulti, e agli adulti ricorda di non dimenticare l’infanzia, periodo dorato non di beata inconsapevolezza, ma di fiduciosa capacità di accettare il passato, vivere il presente e inventare il futuro, senza troppe speculazioni.
J.K. Rowling (1965) nasce a Chipping Sodbury, piccolo sobborgo inglese: i suoi genitori si incontrarono per caso su un treno in partenza da King’s Cross. I treni sono luoghi magici, sospesi tra un qui e un altrove in cui talvolta si ha la sensazione che qualunque cosa possa accadere. Anni dopo, la Rowling racconterà alla stampa di come la genesi di Harry Potter avvenne proprio su un treno, stavolta diretto alla stazione di King’s Cross. I ricordi d’infanzia sono stati cruciali nella caratterizzazione di svariati personaggi della saga: il cognome Potter è quello di un amico di infanzia di Joanne, mentre la figura di Albus Silente si ispira a quella del preside della sua scuola elementare; Ron Weasley, migliore amico di Harry Potter, sarà invece la trasposizione letteraria di un amico d’adolescenza della scrittrice, proprietario di una Ford Anglia su cui i due vissero momenti di grande spensieratezza. Una spensieratezza che non l’abbandonerà mai, nemmeno nei periodi più bui della sua vita – il divorzio dal marito Jorge Arantes, giornalista portoghese padre della sua prima figlia Jessica, la malattia della madre e in seguito la sua morte. Anche da adulta, Joanne resterà la bambina di sempre, un po’ introversa, persa nelle sue fantasticherie, ma anche forte, testarda, animata da un senso di giustizia universale e di fiducia in se stessa e negli altri. Una caparbietà che verrà ripagata da un successo senza precedenti. Ma nemmeno l’inaspettato successo riuscirà a corrompere l’animo puro della scrittrice. Joanne sfrutterà la sua popolarità – e la ricchezza – a scopi benefici, prodigandosi in favore delle fasce sociali più deboli della popolazione e istituendo svariate associazioni umanitarie tra cui il Lumos, che si occupa nello specifico della tutela dei diritti dei bambini. Ma il diritto più grande J.K. Rowling l’ha regalato ai bambini con la sua scrittura: il diritto a continuare a credere nella magia, dove per magia si intende l’assoluta, inspiegabile mancanza di senso della vita. J.K. Rowling ci ricorda che, in qualunque forma essa si esprima, la magia continua a permeare silenziosamente le nostre vite. Niente accade mai per caso. Le assurde coincidenze, le stranezze che spesso non riusciamo a spiegarci, si dimostrano a volte le migliori occasioni di tutta una vita. D’altronde, cosa sarebbe la vita senza un po’ di magia? Si tratta solo di crederci. J.K. Rowling l’ha fatto e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non ci resta, grandi e piccini, che seguirne l’esempio.