Nella storia del pensiero umano Blaise Pascal è una delle figure più stupefacenti e complesse. Scienziato e filosofo, uomo di mondo e poeta asceta, il suo pensiero può essere interpretato come una via di mezzo tra la ricerca laica e antidogmatica di Montaigne e la scoperta esistenziale del divino in S. Agostino.
Se non avesse altri meriti, Pascal vivrebbe immortale nella storia della scienza: prima di tutto la Fisica gli è debitrice delle Esperienze sul vuoto e del Trattato dell’equilibrio dei liquidi, oltre a una serie di esperimenti che portano il suo nome e che hanno posto il principio dell’idrostatica; poi la Matematica, che deve a Pascal un Saggio sulle coniche, il Trattato del triangolo aritmetico, quello Degli ordini numerici e Della somma delle potenze numeriche. Ma entrambe non furono che un rilievo: ben presto riconoscerà quelle scienze come “astratte” e incapaci di studiare l’uomo nelle sue più recondite inquietudini, nelle più celate complessità del suo animo. Quindi sarà duplice il contributo di Pascal all’intero patrimonio culturale ed artistico umano: non solo in ambito scientifico ma anche quello che concerne il pensiero religioso: per uni verrà ricordato per i suoi mirabili tentativi, tra i più arditi della storia del pensiero, di razionalizzare la fede e donare una rappresentazione del Cristianesimo intrisa d’Amore e di Speranza, di quelle << ragioni del cuore che la ragione non conosce >>, e resistente ad ogni attacco da parte della Scienza; per altri sarà mirabile soprattutto per la sua opera che più di ogni altra lo rappresenta, soprattutto sul piano umano e poetico: i suoi Pensieri.
Alcuni critici francesi non hanno esitato a definirlo come << il più bel libro che ci sia in Francia >>, mentre per altri resta tutt’ora un’opera ancora più eminente di quel Discorso sul metodo cartesiano, e che, a differenza di quest’ultimo, solo da quest’opera inizia il rinnovamento della scrittura francese.
Un’opera che definirei limpida ed implacabile allo stesso tempo, gelida ed infuocata, nuda come una lama ed impassibile come un’equazione algebrica, che procede per guizzi e preposizioni con una precisione matematica, senza che una parola stoni o che risulti non necessaria: anzi tutto sembra incredibilmente necessario, oserei dire indispensabile. Un’opera che brilla di una bellezza inequivocabile, un edificio letterario che riflette l’anima e la scuote anche ad un sasso, e che avrà fatto impazzire chiunque si fosse cimentato nella lettura, strappandogli un grido o un singhiozzo.
Pascal, per contrastare lo scetticismo di Montaigne, pone il suo studio sulla stessa base del diritto naturale: l’uomo non conosce che sé, non crede che in sé, che basta solo a se stesso. Ma l’uomo vuole la felicità, vuole vivere felice, ed il suo cuore non è altro che afflitto da contraddizioni: tutto ciò che vuole non riesce ad ottenerlo, ed in questa situazione scorge la vanità degli umani e la labilità degli affetti. Per affrontare la sua esistenza crea il Diritto (in questo caso di accezione positivistica) e la Morale. Ma il primo è ingannevole e può tramutarsi in un crimine alla libertà, tanto meno i moralisti che non ci credono capaci di vivere tranquilli e saggi e riconducono l’espiazione delle nostre colpe ad un Dio che è in sostanza qualcosa di vago e poco convincente.
Distrutto tutto il campo delle attività umane, cercando di dimostrare il nulla della felicità e della ragione, all’uomo resta un Amore che lo leghi a qualcosa che sta al di sopra di sé: Dio. Un Dio che indissolubilmente ama, qualsiasi sia stato l’errore umano. Un Dio che non ha più bisogno di alcuna rivelazione, perché si è rivelato definitivamente col Cristo e il Mistero del suo sacrificio. Davanti al sacrificio di Cristo, agonizzante e morto per noi tutti, quel Verbo che si fece Carne e che inalò l’ultimo respiro è la dimostrazione immanente dell’Amore Divino cui noi tutti ci siamo preclusi la possibilità di accedere, e di ascendere un mondo in cui la perfidia si trasforma in bontà, il dolore in salvazione.