Gentilissima Signora,
al solito si è venuto accumulando in me, dopo le sue amichevoli, fraterne lettere, il nembo dei rimorsi, sospinto dalla bufera ciclonica della vergogna. […]
Ho verso di Lei rimorsi infiniti; il senso d’una inciviltà che non mi è abituale, e che si spiega solo con quel corso di oscure angosce e di traumi che neppure avvertiamo, quasi, ma che ci privano d’una persuasione necessaria a compiere gli atti più sostanziali. Vivacchiamo così tra noie ed espedienti, respingendo la verità e la necessità. Perché? Non sono passati forse degli anni senza una pagina? E perché, se la pagina è la cosa più urgente, più mia? Perché andavo ad ogni inezia, a pagar la tassa, a ordinare il vestito, a far risuolare le scarpe, trascurando il «compito» l’unico e il più gradito? Se anche angoscioso.
Carlo Emilio Gadda ha un’abitudine: scrive lettere; lettere agli amici milanesi con i quali ha vissuto i gioiosi anni dell’università, lettere dal fronte, lettere a Maddalena Marchetti e lettere alla Gentil signora Lucia Rodocanachi.
Alla gentil signora Gadda confida tutte le sue angoscie, le sue paure, le sue esperienze; lo fa in uno stile curato, elegante, nobile; mantiene una distanza con la donna, tanta quanto era la sua ammirazione e la stima che lo legava a Lucia.
E’ un archiviomane così come ama definirsi, dedito ad annotare anche i minimi particolari con uno sforzo tale da mostrare la sua smania nel conservare, nel riuscire a tenere tutti lì i pezzi della sua vita.
Non si concede, non all’amore almeno. Nelle lettere però viene fuori il suo bisogno di confidarsi, di trovare nell’altro sesso comprensione sebbene sia bloccato dal costante autolesionismo psicologico che si infligge durante tutti gli anni della sua vita.
La relazione epistolare con la gentil signora ha lunga vita: la prima lettera è del 21 settembre del 1935, l’ultima di ventinove anni dopo con un incipit di “Cara gentile signora Lucia”; dunque ci sono voluti un bel pò di anni affinchè l’ingegnere avesse l’ardire di scrivere il nome della signora nella lettera a lei speditele, dato che, fin dal loro incontro, avvenuto grazie a Montale, la formalità aveva sempre fatto da padrone.
Ma chi era in realtà Lucia Rodocanachi? La signora delle traduzioni si potrebbe rispondere in maniera secca; in effetti la gentil signora era una sorta di anfitrione di un salotto artistico-letterario negli anni del dopoguerra; la sua casa, sul mare dell Avenzano, era frequentata da artisti, pittori e scrittori; da un’iniziale amore “introverso” per l’arte, la Rodocanachi ne diventa amante attiva:confidente, consigliera e traduttrice di scrittori quali Montale, Vittorini e naturalmente Gadda.
Se fosse un libro non letterario e se lei potesse farmi la traduzione quasi definitiva e io avessi davvero poco lavoro, potrei lasciare a lei il maggior utile: e contentarmi di un quasi parassitario prelievo, dovuto alla mia qualità di grand’uomo: (semi-fesso). Del resto, scrive meglio Lei di me.
Ecco quanto scrive Gadda in un’altra lettera alla donna, dove è manifesta la stima che prova verso la traduttrice, ancora una volta sminuendo le proprie capacità.
Al di là di un legame culturale, la comunicazione tra i due è fitta di pensieri, riflessioni, consigli.
Naturalmente oggi giorno le vie per entrare in contatto sono mutate; ricorrere ad una missiva sa’ sicuramente di antico ma l’esigenza di un confronto, la necessità di parlare a qualcuno, di condividere, che siano emozioni o parti di opere scritte, non sono mai tramontate.