È agonizzante assistere ad una scena qualsiasi del Re Lear del Bardo. Forse per la sua straordinaria capacità di organizzare un discorso teatrale estremamente articolato e insieme unitario, attingendo da materiali accumulati da una lunga e considerevole tradizione narrativa oltre che storica, o semplicemente dai suoi contenuti poetici e ideologici così disparati tra di loro, eppure un coro di voci che è in realtà una sola voce, un amalgama sconcertante di brutale bellezza, ed è candore ipnotico rimanere con gli occhi incollati su queste pagine intramontabili, su questi versi indimenticabili.
Lear, re di Britannia, ha tre figlie: Goneril, Regan e Cordelia. Solo in base al bene che le ragazze dimostreranno di volergli, Lear decide di dividere tra di loro il proprio regno : credendo alle parole più che indagando i sentimenti premia le avide e ipocrite Goneril e Regan, mentre ripudia l’orgogliosa e modesta Cordelia.
Goneril e Regan manifestano uno sviscerato affetto, e ciascuna riceve un terzo del regno. Cordelia, modesta e dignitosa, dice di amarlo quanto il dovere le comanda. Irato da tale risposta, il Re divide il suo patrimonio solo con le prime due, mentre il Re di Francia accetta Cordelia senza dote. Goneril e Regan, appena hanno in mano il potere, rivelano il loro animo malvagio e fanno di tutto per scacciare il padre ormai senza ripari, in un susseguirsi di vicende che sconvolgeranno il destino del Re e della sua amata figlia.
Re Lear è un capolavoro della cultura occidentale, ed è un’efferata analisi dell’animo umano. Shakespeare mostra un universo totalmente sconvolto in cui chiama in causa il suo mirabile personaggio per mostrarne le contraddizioni interne, l’ambiguità dell’uomo e l’inconsistenza di ogni certezza religiosa, morale, sociale e politica. Per cui l’unica cosa che si antepone a tutto il resto è l’esperienza umana.
Re Lear è una metafora sulla condizione umana che ingloba in sé temi molto delicati quali la vecchiaia e la colpa, ma anche l’ambizione individuale e la bramosia del potere, l’ingratitudine e la lussuria. Ma solo la follia permetterà a Re Lear di giungere finalmente alla radice dell’animo umano, all’uomo in sé. Nel caso di Shakespeare la parola – sia quando tratteggia lacerazioni, quando descrive crolli emotivi o frantumazioni di stati d’animo – si incarna, si impone come trasfigurazione mimetica di un personaggio. È il caso del Fool: il Matto, il buffone di corte, è insieme sia la pazzia di Lear che la sua saggezza, la figurazione concreta della sua coscienza. Metafora incarnata di una coscienza irrazionale intrisa di rimorso e di colpe, di rimpianti, ma anche di lungimiranti e fulminanti riflessioni.
Se Otello si fondava sulla figura del paradosso, Re Lear si impernia quindi sulla figura della metafora: così come il Matto è il simbolo del suo errore di giudizio, della sua cecità, anche la tempesta, che gli farà perdere i sensi, è sia referente che metafora della follia di Lear – metafora che è a sua volta metafora della condizione umana e di tutto l’universo, mentre la storia di Gloucester, parallela a quella del Re, non è altro che referente ambivalente e contingente della storia di Lear stesso, rendendoci partecipi di una catena di montaggio o a un dischiudersi di scatole cinesi in cui ogni avvenimento ed ogni personaggio è collocato nella giusta misura, fondendoli in un ibrido abbagliante per postura linguistica, tecnica poetica e destrezza narrativa.
Per la complessità dei temi trattati e per l’altissimo valore lirico raggiunto, Re Lear è da considerarsi un’opera monumentale e uno dei capolavori indiscussi di tutta la drammaturgia moderna. Cimentandoci in tale lettura scopriremo che non basterà solo una certa dose di coraggio, ma anche molta incoscienza: come un miracolo, Re Lear è un dono letterario irripetibile.