Filosofo, storico e politico, Francesco Guicciardini ha segnato con indiscussa personalità il Rinascimento italiano.
Celebre soprattutto per la sua monumentale Storia d’Italia, vertice della storiografia cinquecentesca imperniato sull’arduo tentativo di far rivivere il modello classico di Livio nella letteratura italiana rinascimentale, Guicciardini non può non essere ricordato anche per un’altra opera. Di più breve respiro rispetto alla seconda – non potrebbe essere altrimenti per il genere – più personale e riflessiva, essa si presenta come una straordinaria e affascinante enciclopedia dell’Io che si fa spazio nel mondo e diviene guida nella conoscenza della realtà: stiamo parlando dei Ricordi, raccolta di aforismi che copre un arco cronologico discretamente lungo, dal 1512 al 1530.
Pubblicati per la prima volta a Parigi nel 1576 con il titolo di Avvertimenti, essi si presentano in effetti proprio come tali: massime sentenziose, brevi pensieri, raccomandazioni di carattere morale e pratico, condite da una non comune lucidità di pensiero. Destinatari sono – è giusto ricordarlo per contestualizzare al meglio l’opera – in primis i membri della famiglia (da questo punto di vista i Ricordi possono certamente essere ascritti all’importante tradizione della letteratura “mercantile” toscana, ed in particolare fiorentina).
Non ha maggiore inimico l’uomo che sè medesimo; perchè quasi tutti e’ mali, pericoli e travagli superflui che ha, non procedono da altro che dalla sua troppa cupidità
È solo uno dei tanti aforismi presenti nell’opera. Sono riflessioni argute, spesso amare, sempre meditate. I Ricordi entrano di diritto nella storia dell’aforisma che, venuto alla luce nel mondo greco-romano, conosce una rinnovata fortuna proprio tra Umanesimo e Rinascimento, per trionfare definitivamente prima in Francia con Montaigne e Pascal, e poi in Germania con Nietzsche.
Guicciardini, in linea con la filosofia che è propria di questo genere, si limita ad affermare una saggezza frammentata, evitando di enunciare regole di validità universale, cercando di suggerire sempre comportamenti consoni alla mutevolezza del reale. Allo scrittore la saggezza astratta appare del tutto inutile.
Quanto è diversa la pratica dalla teorica! quanti sono che intendono le cose bene, che o non si ricordono o non sanno metterle in atto!
Guicciardini rifiuta dunque categoricamente di trovare la verità e la perfezione. In un mondo in cui tutto è nascosto, tutto si riduce a mera falsita ed ipocrisia, l’ingegno dello scrittore mette a disposizione sua e dei posteri alcuni fondamentali strumenti di orientamento.
Celebre l’encomio di quella virtù che egli chiama discrezione: la capacità cioè di discernere ed orientarsi, di adattarsi all’instabile mobilità della fortuna. Ed altrettanto nota la teoria del particulare: in un universo falso e dominato dalla più assoluta negatività, in cui neanche lo Stato – a differenza del pensiero di Machiavelli – può assolvere ad un decisivo ruolo guida, occorre limitarsi a difendere il proprio “particulare”, ossia la propria posizione ed il proprio interesse individuale e familiare.
È un’opera che, rigettando pretese di universalità, canta il trionfo del Relativismo. Siamo già alle soglie della modernità.