Scrivere d’amore è difficile, il rischio di essere banali e melensi è altissimo, l’effetto Harmony sempre dietro l’angolo. Perché di rischio possa parlarsi, bisogna credere che l’autore lo rifugga. In questo caso io credo fosse, se non cercato, quantomeno accettato con disinvoltura. L’autrice di “La vita senza me”, Maria Venturi, ne è di certo consapevole.
Sally, al secolo Salvatrice, è una donna di ventotto anni con una storia drammatica alle spalle, un passato che rifugge al punto di disconoscere il suo nome. Bella senza impegno, di quella bellezza rintracciabile davvero poche volte nella vita vera, per i comuni mortali. Uguale a se stessa senza artifizi, né trucco, né ammennicoli di sorta. Possiede, la giovane eroina da collana, un naturale talento imprenditoriale, compie azzardate scelte di marketing tutte vincenti. Istintivamente portata verso professioni per cui gli altri studiano anni, sembra suggerire, ad ogni persona che dovesse leggere il libro, che tutti possiamo fare tutto, utilizzando un talento che neanche sapevamo di possedere. Oppure solo Sally chissà. Capace d’intuizioni fenomenali in campo economico non è da meno la giovane in campo affettivo e relazionale, risolve in un battibaleno un penoso conflitto padre –figlio, indirizzando finanche scelte terapeutiche di uno stolto che ha studiato psicologia, mica si è scoperto un talento come lei. Tanto troppo altro. Non crediate che però sia sola questa wonder woman a possedere tali qualità. Incontra il prototipo del principe azzurro, Oliviero, scapolo d’oro che da anni intrattiene relazioni fugaci ma che s’innamora di lei dopo averci scambiato poche parole. Ambedue i nostri eroi dotati inoltre di altissima levatura morale e amici adoranti, vivono ricongiungimenti strappalacrime, degni contorni. Non tralasciamo il destino, che più che beffardo appare buffo. Incontri fortuiti ai limiti del paradosso hanno definitivamente fiaccato il mio spirito.
Temi e spunti interessanti non mancherebbero volendo. La famiglia allargata, i figli usati come merce di scambio, l’insoddisfazione oziosa di una generazione borderline, questi però diventano ingredienti del drammone stile soap opera sudamericana. I buoni troppo buoni, i cattivi troppo cattivi, i personaggi piatti si ritrovano senza sfumature, la visione manichea prevale sulla verosimiglianza. Dialoghi che non hanno spessore distolgono l’attenzione al pari si trattasse di digressioni fuori contesto, ci si chiede troppo chi mai parlerebbe così per prestare attenzione a cosa i personaggi si dicano.Peccato perchè lo stile dell’autrice è per altri versi impeccabile, probabilmente la ricerca di un certo bacino di utenza ha prevalso sulla storia. Prolisso e alla ricerca di colpi di scena, il libro risulta invece tanto prevedibile. Quello che poteva essere un romanzo di formazione moderno, dove la Cenerentola di turno rifiuta la corte di un feticista per aprire un proprio calzaturificio, è la messa in prosa di una fiction qualunque.
L’idea del principe azzurro poi mi irrita oltremodo. C’è voluto troppo per comprendere che nessuna attesa del prode a cavallo fosse necessaria, ed improbabile l’incontro col suddetto, per fare passi indietro. Non da meno il cliché della crocerossina.
Lei salva lui, lui salva lei, peccato che a noi dall’ammorbamento non ci salvi nessuno.