Affamata di parole, spesso ingurgito spazzatura scritta, buona a placare temporaneamente il senso di vuoto che coglie un bibliodipendente medio in treno, in spiaggia, nell’anticamera del dentista, riempitivo insapore e dimenticabile senza sforzi e senza rimpianti. Ma, pur avendo riempito la pancia di nulla, la fame permane e so che si placherà solo con una pietanza sopraffina, che colmi stomaco e testa e cuore per maestria del cuoco o per qualità degli ingredienti. Così mi è accaduto quest’estate imbattendomi in un piatto forte, discusso, per molti indigesto come Il Gattopardo, assaggiato a spizzichi e bocconi in una lontanissima adolescenza scolara, ed invece annusato, gustato, centellinato in questa maturità libraria, con soddisfazione e gioia inaspettate e qualche rimpianto. Tant’è vero che, abbandonata l’ultima pagina, quasi leccando il piatto appena svuotato e le labbra, si è resa obbligatoria la corsa in libreria a cercare l’unico smilzo libretto di racconti nel quale la perizia rotonda e l’aguzza ironia dell’autore della delizia ricreassero la magia appena assaporata.
Ora, questi son casi rari. Tuttavia, frugando tra gli scaffali di queste terribili librerie-supermercato, dove il cibo – scritto e non – ti viene sbattuto in faccia senza alcun consiglio fidato, a puro scopo di lucro, mi sono imbattuta non dico in una mano da chef, ma senz’altro in una più che dignitosa cucina casalinga. Tanto casalinga e vicina da essere a poche braccia di mare da noi, da parlarci di gente comune, con la nostra stessa comunissima faccia.
Ho scovato un giallo e un commissario, quindi. Un altro commissario, mi sembra di sentire… lo avrei pensato anch’io, se me ne avessero parlato. Ma questo no, questo non è come gli altri. Non spala nuvole, anzi. Non si getta nel mare trinacrio in pieno inverno: ne morirebbe. Non è un rubacuori o un misogino, né un eterno fidanzato. E lavora, questo commissario quasi qualunque, in una città caotica, dal grosso cuore sporco e vitale, lavora in una stazione di polizia dove si combatte con la carenza di soldi e di personale, dove le indagini si fanno seguendo itinerari standard, senza grandi colpi di genio, ma con sudati ragionamenti. Dove le pressioni dei media e della politica incalzano, distolgono. Soprattutto perché il paese intorno bolle, agitato da fremiti di febbre insana, la disoccupazione è la norma, la bancarotta vicina; si fa la spesa nei discount sperando che i tagli alle pensioni permettano di sopravvivere, mentre politici e banchieri, come insetti in un sacco di farina, guastano ciò di cui essi stessi si nutrono.
E l’amarezza che accompagna ogni minuto, ogni pensiero di questo serio, ammogliato, infartuato commissario dai seri, delusi pensieri si riflette in ogni viso della gente che lo circonda: è la caparbietà della moglie Adriana che si barcamena per aiutare la figlia senza stipendio, la disillusione del poliziotto che pensa di cedere al sistema mazzette per mettere qualcosa da parte per la vecchiaia, la rabbia degli scioperanti che invadono le piazze urlando. E’ l’amarezza di chi ha tentato di fare il proprio dovere per una vita, e vede che questo non è bastato.
Sembra di conoscerlo, questo paese. Ha il nostro stesso odore di sconforto e timore, il nostro stesso sapore di rivolta appena sotto la buccia. Stessa faccia, stessa crisi.
E’ così vicina, la Grecia. E’ così vicino, il commissario Charitos.