Scrittore, giornalista, drammaturgo: tutto questo era Henry Fielding, uno dei “giganti” della letteratura inglese.
Nato a Sharpham nel 1707 e morto lontano dalla patria, a Lisbona, nel 1754, Fielding ha attraversato con personalità il cuore del XVIII secolo, lasciando con la sua opera una traccia di profonda influenza. È, di fatto, uno dei padri del romanzo realista inglese, insieme a Defoe e Richardson.
Tom Jones, il suo capolavoro, è un romanzo insieme realista, picaresco e di formazione. Vede la luce nel 1749.
Ambientata nella misteriosa e affascinante Londra ottocentesca, l’opera narra le vicende di Tom Jones, un trovatello accolto e allevato da un gentiluomo di campagna, Mr Allworthy. Il protagonista scappa di casa, quanto mai innamorato di Sophia – figlia del vicino di casa – e si reca a Londra, città vorticosa, caotica, ricca di insidie. Tom cresce, affronta esperienze importanti, finisce anche in prigione dopo aver ferito un uomo. Viene inevitabilmente coinvolto nelle tante – troppe – tentazioni che una metropoli nasconde. Il finale però è lieto: Tom Jones torna a casa, si riappacifica con Mr Allworthy (che lo nomina suo erede) e riesce a sposare Sophia, dopo aver ottenuto l’insperato consenso del padre di lei.
Al di là della grande ed indiscussa vena narrativa di Fielding, che lo ha reso uno degli scrittori più letti in assoluto, Tom Jones offre spunti fondamentali per lo sviluppo della letteratura anglosassone. È il trionfo del realismo, quella corrente che trova la sua più compiuta espressione artistico-letteraria proprio nei Paesi d’Oltremanica.
L’autore mette al centro della sua opera un ragazzo certamente esuberante, ma generoso e buono, “positivo” insomma. Tom cresce all’interno del romanzo: alla fine sarà diverso rispetto all’inizio. Questo è ciò che rende Tom Jones un romanzo di formazione. È un po’ quello che accade a Renzo Tramaglino, giovane sano e sincero che nell’opera immortale di Alessandro Manzoni vive una serie di avventure che lo renderanno diverso, certamente più maturo.
A Fielding interessa mettere in scena il teatro della vita.
In aperta polemica con i puritani e i moralisti, sembra sostenere la tesi che i peccati carnali siamo poca cosa di fronte all’ipocrisia imperante. Ed è una prospettiva per quei tempi assolutamente nuova.
Il grande interprete della corrente parodistica inglese (l’autore, fra l’altro, di An apology for the life of Mrs Shamela Andrews, sfrontata parodia della Pamela di Richardson) riesce a dare una rappresentazione demistificante della società inglese, nella quale pare non vi sia alcuna differenza tra i vizi dei poveri e quelli dei ricchi.
Ne esce fuori un’opera che trasforma, in certe situazioni, la tensione drammatica in tensione comica.
Un’opera ed un’impostazione che, certamente, hanno fatto scuola in tutta Europa.