Ci sono uomini capaci di emozionare sempre, anche solo con uno sguardo, un gesto o una parola:Roberto Vecchioni fa senz’altro parte della schiera.
Cantautore, paroliere, professore e romanziere, Vecchioni è capace di citare a memoria Saffo, Pessoa, Tolstoj, Rimbaud e contemporaneamente vincere il Festival di Sanremo, l’evento “pop” per eccellenza…un artista per pochi, ma capace di arrivare a tutti.
Nel 2004, il Vecchioni scrittore pubblica una piccola fiaba per adulti: “Il libraio di Selinunte”.
Nella città siciliana, caratterizzata da quell’ordine proprio di ogni piccola realtà, la routine viene spezzata dall’arrivo di uno strano personaggio, un nuovo libraio, dall’aspetto cupo e interessato solo alle centinaia di volumi che tiene in negozio.
Tutti gli abitanti di Selinunte temono il neo arrivato tranne Nicolino, detto Frullo ( perchè aveva sempre qualcosa per la testa e che per andarci dietro si bloccava, vagava con la mente tanto da sembrare un po’ rincoglionito )che resta colpito dall’aria sognatrice e un po’ assente del libraio.
In realtà, a rendere speciale l’uomo è il fatto che nella sua libreria non si vendono i libri, ma si leggono. Ogni sera, infatti, il libraio tiene letture di classici, spesso di fronte a una platea vuota. Nicolino non resiste alla tentazione e, nascondendosi dietro una pila di libri, tutti i giorni e di nascosto corre ad ascoltare l’uomo, le cui letture gli permettono di viaggiare con la mente, ripercorrendo il cammino dell’Orlando Furioso, di Re Artù e di altri eroi letterari:
leggeva le parole senza imporle all’ascolto, perché le parole non nascono, non nascevano in quell’autore, per favorire, acchiappare, assecondare, manovrare a piacimento le emozioni del pubblico, stipandole nella gabbia di un unico sentire. Il libraio restituiva le parole a sé stesse. La lettura che usciva dalla sua bocca era un’offerta di toni per l’anima.
Tuttavia, come spesso accade, la comunità di Selinunte non accetta l’uomo, vivendo la diversità come un male. Anzi, egli stesso diventa il capro espiatorio dei mali della città.
Non potendo sopportare una simile presenza, i siciliani cacciano via il libraio con il fuoco, bruciando la casa, la libreria e l’uomo stesso.
Quello che accade dopo è prodigioso: una mattina, i cittadini di Selinunte osservano il cielo riempirsi di libri; questi ultimi danzano in aria, seguendo la melodia di uno strano uomo che li conduce con un piffero fino al mare. A uno a uno i volumi piombano tra le onde, portando via con sé anche le parole.
Tranne Nicolino, ai cittadini non resta che usare codici per comunicare, segnali incapaci di rendere le mille sfumature di cui è intrisa la comunicazione verbale. Sentire e non avere parole per parlare è prigione. È afasia che arrugginisce i pensieri e compromette il senso stesso dell’esistenza, fissandola in un presente privo di storia. E non ci sono pagine da scrutare, non c’è la seconda vita regalata dalla magia dei libri.
Nicolino, pur essendo l’unico a conservare l’uso delle parole, soffre per la sua Primula, che ha degli occhi grandi, così grandi che le prendono metà del viso, ma non può ricambiare a voce i suoi sentimenti per il ragazzo. Anche l’amore, quindi, diventa un groviglio di sentimenti inesprimibili, sul fondo dei grandi occhi lacrimosi di Primula, persa nel suo “volevo dire…” che resta sterile.
Vecchioni, con una favola leggera, ci racconta l’importanza delle parole nella nostra vita; essere incapaci di pensare, ricordare, parlare, esprimersi, renderebbe tutto vuoto e insensato. In fondo, il racconto è una metafora della vita: un mondo senza libri, senza cultura, diventa piatto e meschino, ridotto all’osso, dove i sentimenti, anche se sbocciano, non possono essere coltivati…perchè tutte le parole scritte dagli uomini sono forsennato amore non corrisposto; sono un diario frettoloso e incerto che dobbiamo riempire di corsa, perché tempo ce n’è poco. Un immenso diario che teniamo per Dio, per non recarci a mani vuote all’appuntamento.