All’interno della copiosa e qualitativamente eccelsa letteratura italiana del XIX secolo, si colloca anche un’opera singolare, di gran lunga la più importante del padovano Ippolito Nievo: Le confessioni di un italiano.
Si tratta di un vero e proprio prototipo in Italia, il nostro primo grande Bildungsroman, ossia il romanzo di formazione, che descrive, appunto, il percorso di formazione del carattere e dell’identità di un personaggio, il quale si riconosce attraverso un confronto (spesso duro e sofferente) con la realtà sociale e culturale nella quale vive.
Nievo, energico scrittore, intellettuale finissimo, nonchè militare, costruisce il proprio capolavoro tra il 1857 e il 1858. L’opera viene però pubblicata solo postuma, nel 1867, quando l’Italia è finalmente unita, con il titolo Confessioni di un ottuagenario.
La formazione, la crescita, l’esperienza della vita e del mondo, è quella di Carlino Altaviti, protagonista assoluto del romanzo, che torna indietro nel tempo (è lui, naturalmente, l’ “ottuagenario”) narrando, in prima persona, la propria vita, e dedicando grande spazio all’infanzia e all’adolescenza, vissute nel castello friulano di Fratta, insieme ad una zia contessa e a tutta una lunga serie di personaggi che ruotano attorno a quel mondo rurale, serbatoio di avventure primigenie e mitiche.
Sullo sfondo di questo paesaggio si staglia la figura di Pisana, cugina di Carlino, che vive con il protagonista del romanzo un rapporto di amore acerbo, eppure straordinariamente intenso. Sarà solo dopo la sua morte che Carlino si scoprirà veramente maturo, riconoscendo definitivamente se stesso.
Attraverso la storia d’amore con Pisana, i rapporti con i servitori del castello feudale e le grandi trasformazioni politiche che porteranno, infine, all’unità d’Italia (il tempo della storia si ferma proprio al 1858, anno di scrittura del romanzo), Carlino diventa un uomo, dopo essere passato per una serie di esperienze che sembravano come trascinarlo passivamente.
Dominato da un ritmo avvolgente, vorticoso, specchio fedele delle tortuosità della vita del personaggio e della futura nazione, il romanzo offre un suggestivo, verosimile e affascinante affresco della vita del Risorgimento italiano.
Si mantiene distante sia dal paternalismo cattolico di Manzoni che dalla vena moralistica di Foscolo, riconoscendo come proprio modello lo stile di Sterne, che con il suo distacco ironico sapeva conferire un tono di sublime leggerezza alle proprie opere.
Quell’ironia che sembra essere la principale virtù della saggezza dell’ottuagenario.