La scrittura è conoscenza. Ma è anche un richiamo alla vita. E richiamare la vita non preclude la solitudine, il distacco dalla vita stessa. L’ossequiosa nostra vita fatta di traboccanti valori pornografici, nella cui mostra esplicita dei genitali l’amore non è altro che il surrogato di essa; il crudele teatro di Artodiana memoria, dove violenza e morte pretendono giustificazioni, un alibi per esistere; la mercificazione patinata dei corpi, viagra che abbiamo trovato per il nostro male di vivere: in questo guazzabuglio è sempre con dolente commozione che trova la sua strana attualità l’opera di Dante. Certo, risulterà a molti retrograde la sua concezione femminile, il concentrato simbolico che riaffiora nei suoi versi con protagonista Beatrice e le altre donne schermo, ma è anche un’immagine incantata che muove nell’animo, dopo tanti secoli, ancora ataviche sensazioni. Una caratteristica dominante di tutta la grande poesia.
Quindi la grande poesia – la grande scrittura – è archeologia dei cuori, quando quest’ultimi, perso il filo d’Arianna, non si cercano, e perdere gli altri, l’abbraccio sincero dell’umanità che resta al di la di ognuno, è anche una perdita propria, una promessa mancata con se stessi.
Non vi è forma in Beatrice, e forse è questa la caratteristica che balza subito agli occhi del lettore: vedere in lei assoluta gentilezza, un miracolo, fonte di ogni salute, grazia e umiltà, la sua bellezza è annuncio di salvezza, è baluardo in un mondo abbietto e vile, riscatto morale e dignità di vivere.
Beatrice, la sua fugace essenza, anche quando assume corpo e fisicità appare difficile da interpretare: evanescente, appare fragile e disincanta, essenziale, evocata con un linguaggio razionale, ma anche sfumato ed impreciso. Quei versi, tanto cari all’autore, furono poi raccolti in una delle opere più celebri del periodo, Vita nuova.
Composta tra il ’92 e il ’93, l’opera si presenta come una narrazione atipica, ma certamente preceduta da altri modelli, come l’opera di Boezio: i testi poetici sono accompagnati da parti in prosa, in cui il poeta descrive, racconta situazioni, motiva la scelta dei componimenti, e narra il primo incontro con Beatrice, e l’evolversi del loro amore. L’alternanza di prosa e poesia costruisce quindi un unico e geniale intreccio narrativo, nella cui leggerezza musicale e mai prosaica delle parole l’autore propone di rendere manifesto il significato sacrale dell’incontro.
Dopo la morte di Beatrice, avvenuta nel 1290, Dante si immerge nei suoi studi filosofici e teologici, e sarà l’immagine della donna amata a diventare la guida del proprio destino, di uomo e di poeta.
Le liriche dei capitoli iniziali vanno da quelle d’impronta guittoniana ad altre che riprendono temi cavalcantiani sull’amore doloroso e della forza misteriosa che agisce sui sentimenti. Ma col tempo egli avverte che quella beatitudine cui mira può esser avvertita solo “in quelle parole che lodano la donna sua“. Così nasce la canzone Donne ch’avete intelletto d’amore, e i sonetti centrati sull’esaltazione di Beatrice: Ne li occhi porta la mia donna amore, Tanto gentile e tanto onesta pare, Vede perfettamente onne salute…
Ma vi si affacciano anche situazioni dolorose come la morte del padre del poeta e il pianto di lei; la malattia del poeta accompagnata da una visione nella quale egli avverte la sua morte, mentre Beatrice si allontana chiamata dagli angeli.
Nella canzone Donna pietosa e di novella etate questo clima di angoscia e di tensione sfocia nella contemplazione della donna amata, la cui lungimirante grazia diffonde dolcezza su tutte le cose, elevandosi al cielo.
Quando giungerà la morte di Beatrice il dolore viscerale che egli prova per la perdita gli darà forza di ragionare, e lucidamente arrivare alla conclusione che ogni cosa è vile e vanità fuori il ricordo dell’amata, giungendo all’ultimo ed estremo atto: esaltare di fronte al mondo la figura di Beatrice e trasformare il proprio pensiero in una sorta di viaggiatore peregrino, capace di raggiungerla ed affiancarla nel regno dei cieli: Deh peregrini che pensioni andate, Oltre la spera che più larga gira…
L’opera si conclude con l’accenno ad una << mirabile visione >>, rimanendo in sospeso come se fosse un’opera provvisoria, o una parte di un progetto molto più ampio e complesso. Essa infatti troverà coronamento nella Commedia.
Al di la di queste congetture, il sistema filosofico e religioso sembra tutto convergere su questa figura, forse la creazione letteraria più famosa dell’intera storia della letteratura mondiale. Attraverso questa figura di donna non si riesce a capire se Dante abbia creato un’opera religiosa, allegorica, mistica o simbolica: essa rimane ancora oggi la più fervida testimonianza di come si possa fare di una fragile creatura terrena – esistita o meno – il centro di una vita intellettuale assoluta. E di quel amor, ch’a nullo amato amar perdona.