Ho un debole per ciò che è sottovalutato, persone o opere poco importa, il genio incompreso mi affascina. “Spider”, di Patrick McGrath, è una sorta di figlio sfortunato, possiede tutti i crismi perché sia riconosciuto il suo valore ma, tapino, il suo autore ha pubblicato un caso editoriale, “Follia”. Tanto è bastato a sottrargli le lodi che avrebbe meritato. Io lo preferisco al fratello scomodo e credo non sia solo per spirito da crocerossina.
All’apparenza statico questo è invece un romanzo in movimento, una discesa negli inferi della mente distorta di un uomo. Dennis è un essere che ha compiuto una strana involuzione, Spider è il suo soprannome. Qualcosa ha spezzato la sua mente, un evento l’ha spinto come una valanga oltre il confine della normalità, gli ha fatto valicare la linea che assegna a chi la oltrepassa un’etichetta terribile, pazzo. La malattia ed il delirio potrebbero essere talvolta considerati come un qualcosa di fulmineo, per il nostro protagonista esse sono un percorso. La narrazione è affidata a Dennis stesso, il lettore è complice della sua follia in quello che è il libro più nero di Patrick McGrath. La storia è ambientata in una cupa Londra del 1957, affidata ad un diario. Grigia e piovosa la città, il cielo è plumbeo, non al pari dell’anima del “Ragno”. Non riesce a fissare i ricordi recenti nella sua mente Dennis, così come non riesce a smettere di essere ossessionato da quelli del passato. Quelli di quando abitava al 27 di Kitchener Street, lì deve essere accaduto qualcosa. Un padre alcolizzato, una madre fragile ed il male scuro che comincia ad abitare dentro di lui. Privato del sonno, Dennis è infettato da un virus che lo divora, che si nutre della sua sanità mentale. Noi, spettatori della deriva, naufraghiamo con lui. Che cosa è accaduto? Spider non vuole scriverlo, affinché non esista realmente, lo nasconde a noi ed a se stesso. Nella testa gli riecheggiano delle voci, sussurrano “Uccidila, uccidila… “. Impossibile per lui sbarazzarsi di un mefitico odore di gas. La signora Wilkinson lo terrorizza, proprietaria della pensione dove alloggia si comporta come un animale a due teste, ora gentile e premurosa, ora autoritaria e dispotica. L’alloggio e coloro che vi albergano ricordano un girone dantesco di anime perdute. Dennis non ha vie di scampo, nemmeno adesso che dopo venti lunghi anni è fuori dal manicomio. C’è un che di macabro e brutto, quella bruttezza che affascina. Ci trasformiamo in bambini di fronte ad un film dell’orrore, il viso nascosto tra le mani, mentre inevitabilmente sbirciamo dalle fessure tra le dita. Come in altri suoi libri la storia passa in secondo piano e Patrick McGrath rende essenziale il personaggio più che ciò che gli succede. In questo non c’è che dire, è un maestro. Sprofondiamo inermi nelle sabbie mobili del turbinio dei pensieri di Spider, il finale appare addirittura inevitabile. Contorta la scrittura, come se fosse davvero il parto di uno schizofrenico. Precedente a “Follia”, sebbene da questo oscurato, il libro ha avuto anche una trasposizione cinematografica.
Un incubo su carta, ciò che di peggio possa accadere ad un uomo non è essere inseguito da un fantasma o da un qualsiasi prototipo di spauracchio, tanto caro ad un certo cinema di infima serie. Ciò che di peggio può accadere ad un uomo è che il nemico abiti proprio dentro di lui.