Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo. Spero di non essere fraintesa: sul valore di quello che posso scrivere io non so nulla. So che scrivere è il mio mestiere.Quando mi metto a scrivere, mi sento straordinariamente a mio agio e mi muovo in un elemento che mi par di conoscere straordinariamente bene: adopero degli strumenti che mi sono noti e familiari e li sento ben fermi nelle mie mani.
Il mio mestiere è uno dei saggi della scrittrice Natalia Ginzburg che fa parte della raccolta Le piccole virtù insieme ad altri dieci testi che oscillano tra l’autobiografia e la saggistica: ogni testo esprime , a modo dell’autrice, il suo essere donna, compagna, femmina del suo tempo e per ultimo scrittrice.
Il mestiere della Ginzburg è scrivere ma ancora prima di questo è sentire: lei ha sentito, nel suo cuore, nella sua mente fin da piccola ha sentito di dover seguire la sua vocazione, di dover raccontare di sè, di altri, del mondo e di farlo con estrema verità: la sua è una vocazione alla verità e al dovere di raccontarla.
Scrivere non è un mestiere semplice…all’inclinazione iniziale deve seguire necessariamente una coscienza, una maturata idea di ciò che si fà, un incredibile sforzo, un’instancabile guerra con i ripensamenti, le angoscie , le paure…tutto questo per arrivare al fine ultimo, ossia l’acquisizione della propria identità…io donna, io scrittrice, binomio che lei, donna palermitana trapiantata al nord Italia, collaboratrice della casa editrice Einaudi, ha imparato a fare suo.
Sono molto contenta di questo mestiere e non lo cambierei per niente al mondo.Ho capito che era il mio mestiere molto tempo fa;Tra i cinque e i dieci anni ne dubitavo ancora, e un pò mi immaginavo di poter dipingere, un pò di conquistare dei paesi a cavallo e un pò di inventare delle nuove macchine molto importanti.Ma dopo i dieci anni, l’ho saputo sempre e mi sono arrabattata come potevo con romanzi e poesie. Ho ancora quelle poesie.
Natalia Ginzburg racconta del suo modo di avvicinarsi alla scrittura; ricorda che da piccola scriveva poesie, tante poesie e che influenzata dai grandi scrittori del tempo, credeva di aver partorito delle parole stupende; si impegnava talmente tanto da trascurare tempo allo studio, vivendo solo della sua passione; nel periodo dell’adolescenza ha cominciato a misurarsi realmente con se stessa: riconsiderando il vero valore delle sue poesie, si è avvicinata alla scrittura di racconti dapprima facendosi bastare le poche caratteristiche dei suoi personaggi e le informazioni che annotava su un taccuinio , in seguito capendo che ciò che annotava non doveva poi conservarlo per ulteriori racconti, che lo scrittore non è avaro e che se una cosa è bella bisogna utilizzarla subito…
Ha capito Natalia con gli anni che i sentimenti inevitabilmente si insinuano tra le pagine di ciò che si scrive e si fatica tanto nel farlo..e più ci si fatica e più il lavoro è meritevole.
Quando uno scrive un racconto deve buttarci dentro tutto il meglio che possiede e che ha visto, tutto quello che ha raccolto nella sua vita. E i particolari si consumano, si logorano a portarseli intorno senza servirsene per molto tempo. Non soltanto i particolari ma tutto, tutte le trovate e le idee
Nel saggio l’autrice ricorda il periodo della sua vita in cui dovette allontanarsi dalla scrittura e il momento di felicità nel riabbracciare la sua passione con una nuova consapevolezza: se fino a quel momento aveva scritto di personaggi lontani da sè, di burattini , ora c’era un sentimento nuovo che la legava alle sue “creature”: la carità. L’essere felici o infelici determina il racconto di uno scrittore, l’ambientazione, le manie dei suoi protagonisti, la vicinanza alla realtà; quando si è felici, nella scrittura, la fantasia ha più forza; quando si è infelici invece agisce più vivacemente la memoria. Solo in questa seconda fase il rapporto tra scrittore e personaggi diventa più carnale, più intimo, più caldo.
Perchè questo mestiere non è mai una consolazione o uno svago. Non è una compagnia. Questo mestiere è un padrone che grida e condanna. Bisogna servirlo. Servirlo quando lui lo chiede (…)E’ un mestiere che si nutre anche di cose orribili,mangia il meglio e il peggio della nostra vita, i nostri sentimenti cattivi come i sentimenti buoni fluiscono nel suo sangue. Si nutre e cresce in noi