Venturi me teque legent: Pharsalia nostra
vivet, et a nullo tenebris damnabimur aevo
I posteri leggeranno i miei versi e le tue imprese: la nostra Pharsalia vivrà, e mai in alcuna epoca saremo condannati alle tenebre.
Sono i versi 985-986 del IX libro dell’opera che, proprio secondo la suddetta citazione, si suole chiamare “Pharsalia”. Sono le parole che l’autore, Lucano, rivolge a Giulio Cesare: si è così pensato che questo sia stato il titolo voluto dal poeta. In realtà, codici e biografi autorevoli tramandano un altro titolo, Bellum Civile.
Marco Anneo Lucano, nato a Cordova, in Spagna, nel 39 d. C. (suo zio era niente di meno che Seneca), consegna il suo nome alla storia della letteratura latina con il suo capolavoro, la Pharsalia appunto, poema epico (dalle tinte storiografiche) che narra la guerra civile tra Cesare e Pompeo, culminata nella decisiva battaglia di Farsàlo il 9 agosto del 48 d. C.
L’opera si interrompe bruscamente, causa la morte dell’autore, al verso 546 del libro X, ma è probabile che i libri previsti fossero dodici. Come quelli dell’Eneide.
E non è un caso. Salvo smentite che – immaginiamo – non potranno mai arrivare, oggi siamo abbastanza certi nell’affermare che Lucano, quando ha scritto il suo capolavoro, aveva in mente la maestosa opera virgiliana. Di più. Lucano aveva probabilmente partorito il progetto di “rovesciare” il più famoso dei poemi epici del mondo di Roma antica. L’ Eneide è la più maestosa opera celebrativa dell’antichità: l’encomio – ovvio – è della stirpe di Augusto, di Enea. Insomma, di Roma caput mundi. Le guerre trovano una dolorosa ma necessaria giustificazione nel disegno provvidenziale del Fato, che conduce per mano il pio Enea alla missione divina.
Nella Pharsalia accade esattamente il contrario. Si canta la più terribile tra le guerre: quella fratricida. Non c’è un logos razionale che governa le cose. Tutto è distruzione, morte, furor cieco e spietato che travolge ogni cosa.
In Virglio si celebra l’inizo di un’era di pace, splendore e prosperità. Qui, di fatto, il vero tema è la fine del mondo.
La Pharsalia è anche, e soprattutto, un poema “senza eroe”. Nell’Eneide ci appare del tutto superfluo menzionare il nome dell’incontrastato protagonista ed eroe. L’opera di Lucano ci presenta tre personaggi mai nettamente definiti dal suo autore, volutamente ambigui: Cesare, Pompeo e Catone. Se il terzo (solo) sembra depositario e latore dei saldi valori dello stoicismo, i due condottieri che si fronteggiano in battaglia, Cesare e Pompeo, sono più degli anti-eroi. Il primo è dominato da una furia devastante; il secondo appare addirittura una sorta di patetico anti-Enea perseguitato dal Fato.
La corrispondenza delle opere si palesa chiaramente anche in singoli episodi, quali ad esempio la discesa all’Ade di Enea, cui fa riscontro in Lucano un inquietante apparizione avvolta da riti neri e stregonerie.
La fortuna della Pharsalia, nei secoli, è stata costantemente ai massimi livelli. Ed essere annoverato da Dante, nel Limbo, tra i sommi poeti dell’antichità, in compagnia di Omero, Orazio e Virgilio, non è un cattivo biglietto da visita per Lucano…