Non vi è sfida più grande che la conoscenza di se stessi. Il viaggio introspettivo che tutti prima o poi nella vita si troveranno a compiere.
Il mio fiore preferito è l’orchidea. E forse lo è perché è quello che trovo più dolce tra i pochi che conosco. Pochissimi direi. Victoria invece di fiori ne conosce tanti, e non ne conosce i semplici nomi, quei purissimi accidenti, ma ne conosce il significato. Un significato intimamente legato alla sua vita e al percorso che l’ha portata qui, oggi. A diciotto anni, si ritrova ad affrontare un passato tremendamente pesante da trascinare, ma anche da lasciar andare. Abbandonata da entrambi i genitori, Victoria ha vissuto in balìa di precari istituti per orfani e momentanee famiglie affidatarie che non hanno fatto altro che acuire il suo senso di smarrimento rispetto alla vita e agli affetti. Il suo unico e più puro momento d’amore l’ha vissuto grazie all’incontro con Elisabeth, quando aveva dieci anni, che le ha fatto da madre (forse l’unica) e le ha lasciato un dono, meraviglia dei suoi occhi un po’ chiusi e feriti. Elisabeth ha infatti insegnato a Victoria a leggere il linguaggio dei fiori, inoltrandola in questo mondo fantastico che è divenuto oggi, per la giovane, l’unico mezzo per parlare al mondo.
Nel suo giardino incantato, a San Francisco, Victoria ha costruito col tempo un rifugio, una piccola finestra sul mondo, dal quale guardare senza essere osservata. Qui non coltiva solo fiori, ma passo dopo passo, aggiunge mattoni sempre più pesanti che non le assicurano solo un posto “chiamato casa”, ma le alzano un muro sempre più alto che la inibisce dalle emozioni e dall’amore. I suoi unici sentimenti sono legati ai fiori con i quali comunica a sé e agli altri:
«I fiori per mia moglie!» disse. «Non glielo ha detto Renata? Ho solo pochi minuti, e voglio che scelga qualcosa che la renda felice.» «Felice?» chiesi guardandomi intorno per vedere i fiori disponibili. Earl piegò la testa di lato con aria pensierosa. «Ora che ci penso, direi che mia moglie non è mai stata una donna davvero felice.» Rise fra sé. «Ma era appassionata. E brillante. E curiosa. Aveva sempre un’opinione su tutto, anche su argomenti che non conosceva. È questo che mi manca.» Si sarebbe risvegliata davanti al mazzo di crisantemi bianchi e pervinche, verità e teneri ricordi?
Il “suo” fiore Victoria però non è riuscita a trovarlo. Quel fiore che la aiuti a dimenticare, affrontando i ricordi di un’infanzia negata. Lei, in fondo, è solo una persona che ha bisogno di essere amata per imparare ad amare. Superando anche la paura del contatto fisico e quella misantropia che le annienta il cuore. E in questo l’aiuterà, forse, l’incontro con un ragazzo misterioso che la metterà alla prova costringendola ad un faccia a faccia con quell’affetto che non riesce a sentire se non mediato dalla delicatezza di un petalo e dalla forza di uno stelo.
Vanessa Diffenbaugh, trentatreenne casalinga americana, è riuscita, con questo libro, a far breccia nel cuore di milioni di lettori che hanno amato e sognato grazie ad una storia creata ad hoc per chi si riconosce (cosa alquanto facile) nei travagli emotivi e sentimentali di una donna sensibile e ferita. “Il linguaggio segreto dei fiori” è un romanzo dolce e delicato, la scelta di fondere in maniera così naturale due argomenti diversi come la passione per i fiori e le difficoltà di un’orfana nel costruirsi una vita è sicuramente degna di nota. La mancanza di punti di riferimento viene sopperita dal meraviglioso rapporto che la protagonista, Victoria, instaura con queste creature così speciali. Un passaggio questo che richiama in più punti il romanzo di Serdar Ozkan “La timidezza delle rose” (che consiglio vivamente a chiunque non l’abbia ancora letto) e quello più famoso di Frances Hodgson Burnett “Il giardino segreto”. Qui le storie sono più sognanti, i personaggi sono pochi e gli intrecci più maturi, ma il mio paragone forse è anche eccessivo. Quella della Diffenbaugh è una storia di salvezza, di rinascita, di crescita, un po’ autobiografica (l’autrice ha infatti adottato, nella realtà, tre figli n.d.r.) e un po’ di fantomatica speranza. Ma è piaciuta, si. E il lavoro di marketing costruitogli intorno è stato notevole. In Italia il libro è stato pubblicato con quattro copertine diverse, ognuna dedicata ad un fiore. Alla fine dello stesso vi è un’appendice in cui sono riportati i significati di innumerevoli tipi di fiori. Appendice che può essere consultata anche on-line tramite il sito web (http://www.illinguaggiosegretodeifiori.com/) creato appositamente per il lancio del libro che, ovviamente, come tutti i best seller, diventerà un film.
Insomma, un libro nato per diventare un successo.
La lavanda per la diffidenza, il cardo per la misantropia, la rosa bianca per la solitudine, la rosa per l’eleganza, la camomilla per la forza nelle difficoltà, la gerbera per l’allegria e la buganvillea per la passione. Questi e tanti altri fiori riempiono le pagine di un libro quasi ottocentesco.
Ma sapete quale mi ha colpito di più? Il vischio. Si, quello che la tradizione natalizia vede posto a testa in giù sotto l’arco di una porta. Leggenda vuole che questa pianta fosse il simbolo di resa durante le guerre nordiche e quindi di nuova pace e serenità. Col passare del tempo il significato si è allargato sino a divenire simbolo di serenità ed amore per le tutte le coppie.
Il vischio rappresenta la capacità di superare gli ostacoli. Già. E in fondo il vero amore non è proprio questo?
Non mi fido, come la lavanda.
Mi difendo, come il rododendro.
Sono sola come la rosa bianca, e ho paura.
E quando ho paura, lascio che la mia voce siano i fiori.