Ho sposato Angela dieci anni fa, in un freddo mattino d’inverno reso candido dalla neve che scendeva copiosa sopra le nostre teste innamorate.
Per la verità, non ho mai capito perché mi ero innamorato di lei, di rado me lo ero chiesto, ma guardandola negli occhi quel giorno in chiesa, mi era parso di ricevere una risposta.
Semplicemente mi amava, e io gliene ero riconoscente fino al punto di contraccambiarla.
Dopo quel giorno altri ne passarono, alcuni piacevolmente trascorsi nell’ozio, altri stancanti e nervosi, ma finché questi poli contrapposti di compensavano a vicenda, non fui mai scosso o toccato nel mio essere più profondo, da sempre inquieto e avido di richieste.
Arrivò, però, un giorno in cui, alzandomi un mattino dopo una lunga notte di sonno interrotta solo da un breve sogno dove una voce mi parlava (ma non ne ricordavo il senso né le parole!), guardandomi allo specchio, non riuscivo più a riconoscermi e a dare un senso a tutto quello che avevo intorno: ogni stanza della casa, ogni mobile, quadro o panorama catturato dalle finestre della mia stanza, mi risultavano estranei.
Ad un certo punto, non riconoscevo più nulla.
Improvvisamente mi sovvenne il pensiero di mio nonno che alla mia stessa età, pare, divenne pazzo, e un bel giorno, non riconoscendo le persone che dividevano la casa con lui – la moglie e i figli – li uccise uno a uno ritenendoli dei criminali entrati di nascosto in casa sua per rubare. Solo mia madre, la figlia minore di quella belva, si salvò perché riuscì a nascondersi nel bosco di fronte a casa, ma non si riebbe mai da quel trauma.
Dopo quella strage il nonno venne arrestato e il giorno dopo si suicidò nella cella dov’era stato rinchiuso. Si dice che ripetesse in maniera ossessiva una frase, ma tale era il tono della voce così stanca, affaticata, rauca per la tarda età, che solo poche parole furono decifrate: “senza amare”.
L’urgenza di capire cosa mi stava succedendo mi costrinse ad abbandonare questo mesto pensiero, non senza trascinare con me quel senso d’inquietudine che mi accompagnava fin dal risveglio.
Scesi allora in sala da pranzo, dove trovai mia moglie intenta ad impartire ordini ai domestici riguardo il pranzo. Mi venne incontro dicendomi di sbrigarmi a fare un bagno caldo perché i nostri ospiti sarebbero arrivati di lì a poco.
Non potei fare a meno di notare le sue mani tozze, con le dita troppo corte e le unghie scure, forse a causa della sua passione per il giardinaggio, mentre quasi mi spingeva verso la sala da bagno.
Qui trovai tutte le essenze profumate che Angela usava quotidianamente e ne fui incuriosito come se fosse la prima volta che le vedevo.
Lo confesso, il profumo della pelle di una donna era sempre stato assai inebriante per me e, in verità, i miei sensi erano particolarmente attratti dalle essenze speziate, orientali che, verificai con stupore come se non lo avessi mai notato prima – ma ciò non era possibile dopo ben dieci anni di matrimonio – non rientravano tra le scelte di Angela.
Essenza di limone, iris, i miei occhi avidi cercavano ancora. Lavanda, mughetto e poco altro.
Come aveva potuto attrarmi fisicamente fino al punto di sposarla una donna che faceva uso di profumi così ordinari?
Mi aveva forse stregato?
Ero forse vittima inconsapevole di un sortilegio?
Mentre godevo del mio bagno caldo questi pochi assurdi pensieri mi fecero compagnia finché, ad un certo punto, realizzai che essi non avevano una risposta razionale. Né i dubbi che essi mi avevano in un attimo sollevati avevano soluzione razionale. Cercai di non tormentarmi oltre, dicendo tra me e me che in fondo l’amore stesso era un fenomeno inspiegabile e andai nella mia camera a cambiarmi d’abito per il pranzo quasi di buon umore.
Dopo di ciò una delle domestiche annunciò l’arrivo dei nostri ospiti: erano la sorella di mia moglie ed il facoltoso marito, che accogliemmo con i soliti noiosi rituali di circostanza e, una volta esauriti i pochi convenevoli, ci sedemmo a tavola conversando come sempre dei più svariati argomenti: le corse di cavalli, le vacanze estive da poco trascorse nella Francia meridionale, la difficoltà nel trovare una domestica fidata o una buona educatrice per i bambini.
Lentamente, però, direi fin da subito, mi estraniai dalla conversazione e mi trasformai in uno spettatore disilluso, come chi, dopo aver pagato un biglietto costoso per assistere ad un dramma shakespeariano recitato da professionisti, si trova davanti ad un’opera da quattro soldi, poco ispirata e mal interpretata da dilettanti. Io non mi divertivo affatto, bensì soffrivo di quella vista ed un’immotivata ira saliva dentro di me, tra le mie viscere, ed offuscava i miei sensi.
Quello che più mi sconvolgeva era l’entusiasmo infantile di Angela nell’ascoltare i pettegolezzi della sorella riguardo i vicini di casa, le amiche, quella lontana cugina sposatasi in tutta fretta perché incinta di tre mesi. E la sciocca urgenza di raccontarne di suoi: era come se avessi sempre ignorato quel lato così gretto e volgare del suo carattere e se questo si presentasse prepotente davanti ai miei occhi nella sua interezza.
Non sopportavo, poi, il rumore che faceva mentre masticava una qualsiasi pietanza – mi sembrava di sentirlo mille volte amplificato nelle mie orecchie, mi faceva impazzire – e quella sua assurda risata che rivelava denti non perfetti e ingialliti, così come il modo in cui teneva la forchetta, con quella artificiosa eleganza che la gente ordinaria pratica per farsi credere di ceto elevato.
Era dunque questa la donna che avevo sposato? Dove si era nascosto questo mostro in tutti questi anni? Ero stato ingannato, era l’unica spiegazione logica, perché in un attimo non capivo come avevo potuto innamorarmene e decidere di dividere con lei il resto dei miei giorni.
Accadde tutto in un istante: la disprezzavo, anzi, la odiavo.
In quel momento premeditai la sua morte come se fosse una scelta possibile, forse l’unica naturale per placare questa mia ormai crescente inquietudine.
Avevo tempo per sognare quel momento risolutivo e pazienza sufficiente per aspettare la fine di quella noiosissima giornata.
Gli ospiti lasciarono la nostra casa dopo cena, aspettai quindi che la servitù si ritirasse nelle sue stanze e attesi Angela nella sua.
Quando entrò e mi trovò lì ad aspettarla, ai piedi del suo letto, mi sorrise credendo di leggere nei miei occhi una proposta sensuale, ma io avevo ben altro in serbo per lei.
Si avvicinò per abbracciarmi ed io le strinsi il collo con una forza che non mi conoscevo, mentre sentivo un piacere fisico e mentale al tempo stesso crescere in me.
Tentò di difendersi spingendomi via con le sue mani tozze che tanto mi disgustavano ed io, ormai preso dalla furia omicida, gliele morsi fino a farle sanguinare.
Il mio piacere raggiunse il suo culmine quando mi resi conto che finalmente era morta.
Nei suoi occhi nessuna luce e quell’espressione vacua e immobile che le avevo scoperto quel giorno a pranzo mentre ascoltava le inutili chiacchiere della sua stupida sorella.
Feci per alzarmi dal letto dove giaceva esanime quando d’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, mi sovvenne quella frase sognata nella notte che per tutto il giorno non ero riuscito a ricordare: “Non vivrai un giorno senza amare”.
Quella frase mi sconvolse per quanto era vera, la voce quella di un uomo malvagio, diabolico, forse lo stesso che aveva parlato al mio sventurato nonno.
******************
Angela giace qui accanto a me, e i suoi occhi mi guardano dall’aldilà.
Le mie mani sono ancora umide per l’eccitazione, la sua pelle ancora calda. In fondo solo pochi istanti fa era viva come io lo sono, io che vi ho appena raccontato la storia più assurda che abbiate mai sentito.
Era viva, come me.
Ed io, come lei, morirò. Domani.