“Tango e gli altri – Storia di una raffica, anzi tre”, romanzo corale, è proprio il caso di dirlo, di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli. Bologna 1960, il maresciallo Benedetto Santovito riceve una lettera che parla di passato ed ingiustizia, che riporta alla sua memoria una ferita mai rimarginata, una ferita propria del protagonista ma anche del nostro paese. Mittente della missiva è una donna che vent’anni prima avrebbe potuto salvare una vita, quella del partigiano Bob. Così si dipana la storia, un salto all’indietro e poi uno in avanti, un altro all’indietro e così via, la memoria è la vera protagonista. Un ricordo può avere la stessa forza di un proiettile. Eccoci nel 1942, una di quelle date che non hanno bisogno di specifiche, sull’Appennino il partigiano Roberto Cortesi è accusato dell’omicidio della famiglia del patriarca ammanigliata coi fascisti. È somministrata immediatamente una giustizia sommaria con il tramite di una raffica, anzi tre, il fuoco amico dei compagni si abbatte fragoroso sul partigiano Bob. Non ci si può permettere di attirarsi le antipatie della popolazione, la Resistenza prima di tutto. Santovito, nome di battaglia Salerno reduce dalla Russia, è inviato sul posto solo dopo la morte del giovane ma non è convinto, l’eccidio delle Piane è sospetto, la guerra però ha la meglio. Incalzanti gli eventi, incalzante la storia, non ha tempo il maresciallo di fare luce sul caso. Ci penserà quella lettera a rimettere tutto in discussione, il giovane martire della causa partigiana è scagionato dalla confessione cartacea di una donna, la notte dell’eccidio Bob era con lei, colpevole di un tradimento ma non del massacro. Non si può ridare la vita ma giustizia si, anche a chi non c’è più.
Temi storici e giallo si intrecciano meravigliosamente in questa vicenda, donando alla trama sveltezza malgrado i flashback lunghi e densi. Difficilissimi gli argomenti trattati, Bob non è stato giustiziato dai fascisti ma dai suoi stessi compagni, in questo paese non è dato parlare di nulla senza che un coro greco di giustificazionisti o di anti-qualcosa si alzi all’impiedi. Io credo forse a torto, ma ci credo fermamente lo stesso, che di tutto possa parlarsi, che ogni vicenda umana contenga errori, che i più nobili ideali una volta fattisi realtà possano aver prodotto anche delle brutture e che se vi sono state sia giusto parlarne proprio per far si che queste non accadano nuovamente. Il libro è davvero ben scritto ed è senz’altro un esperimento coraggioso, un giallo accattivante, il tema storico ben trattato, nessuna volontà revisionista o reazionaria, solo un racconto con un’ambientazione originale che non risparmia nemmeno chi, a ben pensarci, ha reso possibile l’odierna libertà di pensiero e parola, almeno a quanto dice la nostra bellissima carta costituzionale.
Mi ha sempre molto colpito una frase di Mario Monicelli “Gli italiani sono fatti così. Vogliono che qualcuno pensi per loro. Se va bene va bene, se va male poi lo impiccano a testa sotto.” Provate a chiedere a chi ha vissuto l’epoca fascista se lui stesso o la sua famiglia abbiano in una qualche misura fatto parte di quella esperienza, non troverete quasi nessuno eppure, credo in tanti, abbiamo visto la folla gremita nella piazza del famoso balcone da cui si affacciava il capo del periodo più scuro della storia d’Italia, ed ancora oggi trovare chi ha votato il governante di turno nell’ora del declino è impossibile. Se questo libro può lanciare un messaggio al lettore attento forse è proprio questo, nessuno può ergersi al di sopra degli altri, nessuno è privo di macchie non lo è stato nemmeno il movimento partigiano. Ebbene io sono grata a quegli uomini che furono eroi e grazie ai quali possiamo festeggiare i nostri 150 anni insieme fieri, perché se coloro che hanno reso possibile tutto questo erano esseri imperfetti, che commisero sbagli come tutti, vuol dire in base al più semplice dei sillogismi che ognuno di noi può e deve fare la sua parte.
Grazie ai partigiani ed a tutti coloro che hanno reso possibile cercare la libertà e la verità, sempre.