Non sono una donna romantica nell’accezione moderna del termine, le svenevolezze mi irritano, i salamelecchi mi disturbano, non credo nelle coppie che non litigano e se Marco se n’è andato io proprio non mi sento di giudicarlo. Sarà forse per questo che istintivamente le mie scelte narrative raramente si orientano sulle storie d’amore, difficile è secondo me scriverne evitando il famigerato effetto Harmony ma se tale risultato riesce, se non si provoca nel lettore un innalzamento ipoglicemico, allora si che una storia d’amore può essere una lettura entusiasmante.
“Dolce come il cioccolato” di Laura Esquivel è un libro delizioso nel senso letterale del termine, possiede gusti e profumi inebrianti. Un’antica tradizione familiare vuole l’ultimogenita destinata alla cura della, in questo caso dispotica, madre. Tita è nata tra le lacrime causate dagli effluvi delle cipolle ed in quanto ultima figlia suo è dunque il compito di accudire la genitrice. Una famiglia matriarcale dove il carnefice della donna è un’altra donna. Innamorata di Pedro e ricambiata dallo stesso il suo posto non è in un talamo nuziale ma dietro ai fornelli e tra le pretese della madre. Pur di continuare a vedere la sua amata Pedro accetterà finanche di sposare la sorella maggiore di lei Rosaura. Con la guida della cuoca Nacha la dolce Tita inizia ad amare la cucina appassionatamente, carnalmente. Che cos’è d’altronde se non lussuria e piacere, ma anche fatica e sforzo. Uccide a mani nude gli animali da cortile, inonda la casa di effluvi che influenzano animi e gesti altrui fino a spingere due amanti a fuggire nudi a cavallo. In un orgasmo dei sensi sublima il proprio desiderio carnale attraverso le papille gustative, non può possedere il suo amato ed allora possiede le materie prime che sotto le sue mani si plasmano ed assurgono al rango di incantesimi. La passione non conosce ostacoli ed arde sul fuoco, in questo caso bolle. La tradizione è regina, muove i destini, li influenza e li pilota.
Originale l’espediente narrativo utilizzato dall’autrice, ognuno dei dodici capitoli si apre con una ricetta che fa da sfondo alla storia, il naturalismo magico caro a molti scrittori latini si fa culinario senza perdere credibilità. Si sente il tocco femminile nella scrittura, delicata ma forte e, come sempre capita dinanzi ad un libro ben scritto, ci si lascia andare piacevolmente alla creduloneria. Beati sono coloro in grado di stupirsi ancora, di lasciarsi possedere dalla favola di queste pagine, dall’erotismo non troppo celato che le anima. Godono i sensi e gode chi ne legge, la trama è tutta da assaporare con calma come una tavoletta di gustoso cioccolato. Nessuno è come i sud americani in questo. Forse a tratti c’è qualche banalità di troppo ma questo è un romanzo d’esordio e forse tanto fresco proprio per questo. In un tempo in cui tutto si consuma in fretta abbandonarsi ad una storia di amore e desiderio dove i protagonisti sono disposti ad un matrimonio infelice e ad una vita da serva pur di sentire la presenza l’un dell’altro è cosa di non poco conto, soprattutto se il risultato è un buon dolce che ha un retrogusto amaro dosato alla perfezione e non un polpettone stile Moccia.
Buona lettura, anzi, buon appetito.